Comincia la corsa al sottogoverno. E tra i 5 Stelle c’è chi insiste sulla democrazia interna

Comincia la corsa al sottogoverno. E tra i 5 Stelle c’è chi insiste sulla democrazia interna

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Oggi si riunisce il primo consiglio dei ministri presieduto da Giuseppe Conte. Nel Movimento 5 Stelle si fanno i conti con l’entusiasmo largamente maggioritario per il «governo del cambiamento» oltre che con qualche problema di riassestamento. Praticamente tutti i personaggi di spicco, quelli che avevano caratterizzato la scorsa legislatura e che nelle studiatissime strategie comunicative grilline comparivano in prima fila, seguono Luigi Di Maio sui banchi del governo. Restano fuori Vito Crimi al senato e Laura Castelli alla camera. Per loro non è scattata la nomina a capogruppo perché dovrebbe attenderli una poltrona nell’esecutivo. Le tessere coi loro nomi si incastrano nel puzzle dei sottosegretari che va man mano componendosi: in tutto ai 5 Stelle dovrebbero toccare cinque viceministri e venti sottosegretari. «Qualcuno dovrà fare pure il semplice parlamentare», dice Di Maio per far fronte alle richieste di incarichi. Intanto, dall’assemblea congiunta che è seguita al dibattito sulla fiducia al senato, due giorni fa, sono emersi i nomi dei nuovi capogruppo. Alla camera ci sarà Francesco D’Uva, giovane deputato messinese al secondo mandato. Al senato il triestino Stefano Patuanelli, che ha esperienza da consigliere comunale nella sua città e che è al debutto in parlamento.

Ciò non esaurisce le questioni organizzative. Il M5S ha urgente bisogno di trovare nuovi assetti interni, necessita di costruire equilibri per far fronte al salto qualitativo e quantitativo degli ultimi mesi. Con disinvolto tatticismo i grillini affrontano la scommessa del governo giocando su più livelli. Da una parte sposano in pieno il «concept» del «cambiamento». Dall’altra, considerano il governo giallo-verde come una competizione con gli alleati della Lega, una partita che si dovrebbe giocare molto in parlamento dove i numeri li favoriscono. Le dichiarazioni di Salvini su migranti e fisco vengono per questo interpretate come un tentativo di portarsi avanti nella corsa.

I grillini cercano di coordinare gli eletti e pianificare le mosse. Chi avrà diritto di deciderle? Di questo si discute e tra le righe si riconosce qualche sfumatura critica. Ne parla ad esempio Luigi Gallo, deputato vicino a Roberto Fico, che salutando la nascita di «un governo con straordinarie opportunità» sottolinea anche la presenza di «qualche ombra». Gallo insiste sulla democrazia interna, come aveva fatto polemicamente all’epoca dell’elezione di Di Maio. Propone la formazione di un organismo elettivo votato da tutti gli iscritti e composto per metà da amministratori locali ed esponenti dei 5 Stelle provenienti dai territori. «Il Comitato dei 40 – sostiene Gallo – deve essere il nostro strumento di democrazia interna per dare voce e potere decisionale ai consiglieri comunali e sindaci», eletti che consumano le cartucce dei due mandati godendo di meno onori (e di stipendi molto più modesti) rispetto ai consiglieri regionali, ai parlamentari e agli eurodeputati.

Proprio gli eurodeputati sono alla ricerca di una nuova collocazione, anch’essa in qualche modo causata dalla scelta di andare al governo con la Lega. Dalla prossima legislatura europea il gruppo Effd fondato assieme allo Ukip di Nigel Farage non esisterà più causa Brexit. I grillini cercavano un accordo con il movimento En Marche di Macron, strada evidentemente impraticabile da quando hanno dato vita a un governo che proprio ieri è stato salutato con entusiamo da Marine Le Pen. Potrebbero approdare al gruppo conservatore con alcuni esponenti dell’Europa orientale: un altro passo verso il blocco di Visegrad che non sarà facile da digerire per alcune anime grilline.

FONTE: Giuliano Santoro, IL MANIFESTO



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