In Irlanda vince il Sì al referendum sull’aborto
DUBLINO. Una giornata storica per l’Irlanda. Quando venerdì notte, poco dopo la chiusura dei seggi, esce il primo exit poll, nel quartier generale del comitato per il Sì scoppiano in lacrime per la gioia.
I favorevoli all’abolizione del famigerato ottavo emendamento della Costituzione, che proibisce l’aborto in quasi ogni circostanza, sono dati al 68 per cento. Alla fine della conta dei voti, il Sì raggiunge il 66.4 per cento.
UN RISULTATO ENORME e per certi versi inaspettato. Per settimane i sondaggi hanno dato in vantaggio il Sì, ma con un margine che si è andato riducendo nel corso dell’ultimo mese, mentre una quota significativa di elettori rimaneva indecisa. Ma oggi l’alta partecipazione al referendum 64.13 per cento e la vittoria schiacciante dei sostenitori del diritto all’aborto restituiscono l’immagine di un paese completamente diverso rispetto a quello che 35 anni fa inseriva, con una maggioranza altrettanto numerosa, il divieto esplicito dell’aborto in Costituzione.
Il merito è in gran parte dei movimenti femministi e per i diritti civili che per anni hanno lottato per cambiare una legislazione inumana, che costringe ogni anno migliaia di donne a recarsi all’estero per abortire legalmente, o ad abortire senza assistenza medica in Irlanda, ordinando la pillola su internet e rischiando fino 14 anni di carcere. A partire dalla tragica morte di Savita Halappanavar nel 2012 a causa di una setticemia a seguito di un aborto negato, le manifestazioni per l’introduzione di una nuova legislazione sull’aborto si sono moltiplicate. La pressione dei movimenti ha portato a un progressivo spostamento dell’opinione pubblica sul tema dell’aborto, in un paese in cui il partito di governo Fine Gael, e il principale partito di opposizione Fianna Fáil, sono entrambi di centro-destra. Fiutando il cambiamento nell’opinione pubblica sia il premier Leo Varadkar sia il leader del Fianna Fáil Micheál Martin, che in passato avevano avuto una visione più restrittiva sull’aborto, si sono espressi a favore dell’abrogazione dell’ottavo emendamento e dell’introduzione di una legge che permetta l’aborto senza condizioni fino a 12 settimane dal concepimento.
VISTO ANCHE IL SOSTEGNO al Sì di larga parte dei repubblicani del Sinn Féin, del Labour Party e della coalizione di sinistra People Before Profit-Solidarity, a difendere l’ottavo emendamento in parlamento erano rimasti solo alcuni deputati indipendenti, più i dissidenti all’interno dei partiti maggiori. Eppure, fra i sostenitori del Sì non vi era certezza assoluta della vittoria referendaria. La campagna per il mantenimento dell’ottavo emendamento, portata avanti da una serie di gruppi cattolici conservatori, si è dimostrata fin da subito agguerrita e ben finanziata. L’influenza della Chiesa cattolica, seppur minata da una lunga storia di scandali e abusi, rimane alta, in un paese in cui più del 90 per cento delle scuole primarie sono ancora a gestione clericale. Inoltre, più di un’attivista per il Sì aveva manifestato il timore che in caso di una vittoria risicata vi potessero essere ribaltoni in parlamento, magari introducendo una legge che permettesse l’aborto solo nei casi più estremi come lo stupro o le malformazioni fatali del feto. Tutti timori cancellati da una vittoria del Sì oltre ogni rosea aspettativa.
SE SI GUARDANO più in profondità i dati degli exit poll pubblicati dall’Irish Times, il principale quotidiano irlandese, si capiscono appieno le dimensioni del terremoto politico causato da questo referendum. Come previsto, il Sì prevale a larga maggioranza nelle aree urbane (71 per cento e 77 per cento nella capitale Dublino) e fra i giovani (87 per cento nella fascia 18-24 anni). Ma il referendum sembra ridefinire anche alcune geografie politiche che si credevano consolidate: il Sì prevale anche nelle aree rurali, tradizionalmente più conservatrici, con un solido 60 per cento. E se il supporto al Sì rimane più alto fra le donne (il 70 per cento vota a favore), anche la maggioranza degli uomini ha votato a favore (65 a 35 per il Sì). L’unico bastione conservatrice rimangono gli over 65, dove sei su dieci hanno votato No. È la vecchia guardia che nel 1983 aveva votato per introdurre l’ottavo emendamento. Oggi la storia rema in direzione opposta.
L’IRLANDA COMPIE così un altro passo nel processo di secolarizzazione, dopo il referendum che nel 1995 introdusse il divorzio e quello sui matrimoni fra persone dello stesso sesso del 2015. L’ottavo emendamento rappresentava uno degli ultimi bastioni di un’idea di società in cui lo Stato e la Chiesa esercitavano un forte controllo sui diritti riproduttivi delle donne. Il referendum del 2018 potrebbe segnare definitivamente la fine di questa idea.
FONTE: Vincenzo Maccarrone, IL MANIFESTO
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