Il Brasile nelle mani di militari e golpisti

Il Brasile nelle mani di militari e golpisti

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BRASILIA. Nella capitale brasiliana si respira un clima di disorientamento e preoccupazione. La grande piazza in cui si fronteggiano i monumentali edifici che ospitano il Presidente della repubblica, il Congresso nazionale e il Supremo tribunale federale, non sembra sufficiente a contenere tutte le contraddizioni e le tensioni che si sono accumulate nel paese.

Il «golpe soave», che aveva portato alla destituzione di Dilma e all’insediamento di Temer, si è completato con l’arresto di Lula. L’operazione giudiziaria «Lava Jato», partita nel 2014, ha coinvolto buona parte del ceto politico brasiliano, ha inciso profondamente sugli equilibri politici, determinando fratture e ricomposizioni, con un riposizionamento di tutte le forze politiche e sociali. All’interno del Congresso si è costituito un fronte conservatore che, per caratteristiche e dimensioni, è analogo a quello del 1964, l’anno in cui ha avuto inizio il ventennio di dittatura militare.

I SETTORI legati all’agrobusiness (bancada ruralista), fondamentalisti religiosi(bancada evangelica), militari di riserva, si sono coalizzati intorno a Temer per approvare una serie di riforme fortemente antipopolari.
La riforma del lavoro, col suo carico di norme che alimentano precarietà e tolgono tutele ai lavoratori, è stata approvata nel corso del 2017. La riforma previdenziale, che prevede innalzamento dell’età pensionabile e tagli agli assegni di pensione, è in via di approvazione.
Sono riforme volute dai settori economici e finanziari e verso i quali il presidente ha un debito di riconoscenza per il sostegno ricevuto. Temer è fuori gioco per la corsa presidenziale.

PER L’AMPIO DISCREDITO di cui gode, il suo indice di gradimento è talmente basso che i sondaggi più generosi gli attribuiscono un 3% di consensi.
Ma si sta adoperando per far confluire su un candidato più presentabile le forze conservatrici che in questi mesi lo hanno sostenuto. In questo clima ci si interroga sullo stato della democrazia in Brasile.
C’è un elemento nuovo che desta una forte preoccupazione negli ambienti democratici: la discesa in campo dei militari. Hanno riacquistato voce e visibilità e alcuni settori della società guardano ad essi con simpatia e ne invocano l’intervento «per fermare malgoverno e corruzione». La Costituzione del 1988 aveva ridimensionato il loro ruolo, assegnando solamente compiti di difesa nazionale. Il loro impiego in operazioni di ordine pubblico nelle favelas di Rio, voluto da Temer, esprime la volontà di utilizzarli ancora nelle attività di controllo sociale, come avveniva durante il regime militare.

MARIELLE FRANCO, attivista impegnata nella difesa dei diritti umani, aveva denunciato in tutti i modi la decisione di impiegare i militari per risolvere i problemi delle favelas.
Con forza aveva sostenuto che l’uso dei blindati nei quartieri più poveri del paese avrebbe prodotto ulteriori devastazioni sociali. Il grido coraggioso di questa donna nera della favela è stato soffocato il 14 Marzo. I militari avevano già manifestato la loro volontà di giocare un ruolo attivo nella attuale congiuntura politica.

Nel settembre 2017 il generale Antonio Mourao, già comandante della legione militare del Sud, la più importante del paese, aveva sostenuto che era giunto il momento di sospendere l’ordinamento costituzionale come soluzione alla crisi politica. Nell’aprile di quest’anno è stato il comandante dell’esercito, il generale Edoardo Vilas Boas, a irrompere sulla scena, nei giorni in cui il Supremo tribunale federale doveva decidere sulla richiesta di arresto di Lula, scrivendo sul suo profilo Twitter: «In questa situazione che vive il Brasile resta da chiedere alle istituzioni e alle persone chi sta pensando al bene del paese e alle generazioni future».
E in un secondo messaggio: «Rassicuro il paese che l’esercito brasiliano condivide il desiderio dei cittadini rispettosi della legge e respinge l’impunità nel rispetto della Costituzione». Una evidente forma di pressione sul Tribunale per condizionarne la decisione.

UNA VOLTA ROTTO L’ARGINE, sono seguite le prese di posizioni di numerosi militari di alto grado che hanno aperto sulla rete dei canali diretti di comunicazione con la popolazione.
Le posizioni che i militari esprimono sulla rete vengono riprese e amplificate dai media nazionali. Ed è proprio un militare di riserva, il deputato federale Jair Messias Bolsonaro, a essere accreditato di un 20% nei sondaggi per le elezioni presidenziali del prossimo ottobre. Esponente di estrema destra, nazionalista, è il punto di riferimento dei settori che esprimono forme di integralismo religioso.

IL SUO SLOGAN: «Il Brasile sopra ogni cosa, Dio sopra tutti». Si presenta come il nuovo, anche se è presente nel Congresso dal 1990. Per la sua visione nel campo economico e sociale si è guadagnato l’appellativo di Trump del Brasile.
Nega che nel paese ci sia mai stata una dittatura militare. Sotto processo per razzismo, per aver paragonato agli animali alcune comunità del Brasile (Quilombolas), durante la votazione in cui si doveva decidere la sorte di Dilma, nel votare a favore della destituzione, dichiarava di dedicare il suo voto al colonnello dell’esercito che durante la dittatura aveva autorizzato la tortura della stessa Dilma e di altri militanti di sinistra.

I media che lo sostengono sottolineano che egli rappresenta l’unico politico in grado di suscitare entusiasmo e che ogni volta che appare in pubblico viene accolto al grido di «mito».
Un personaggio come Bolsonaro, in una situazione in cui l’elettorato ha fatto il pieno di scandali e corruzione e manifesta un sentimento di disgusto verso il ceto politico, con i suoi appelli all’ordine e alla legalità, può raccogliere un elevato numero di consensi e arrivare al turno di ballottaggio.

SOLAMENTE LULA, accreditato prima dell’arresto di un 36% di consensi, sembrava in grado di sbarrargli il passo. Lula continua a godere del sostegno del Partito dei lavoratori, delle forze sindacali e dei movimenti sociali. Si è svolta a Curitiba, dove è detenuto, la manifestazione più importante per il 1° Maggio. Ma il permanere dello stato di detenzione può incidere sul suo livello di consenso. L’ultima rilevazione, effettuata in questi giorni dall’Istituto Datafolha, gli assegna ancora un 31% di consensi.

Le candidature possono essere accettate fino al 30 Agosto e poi devono passare al vaglio del Tribunale elettorale, che può escludere chi ha ricevuto una condanna da un organo giudiziario collegiale, come nel caso di Lula, anche se è stato presentato ricorso contro la sentenza. Ma sono in pochi in Brasile a pensare che l’ex presidente possa essere rimesso in libertà prima delle elezioni, per un giudizio di incostituzionalità sulla detenzione o per l’annullamento del processo a causa di qualche errore procedurale. Perché se è vero che è in atto una azione concertata per impedirgli di partecipare alle elezioni, non è pensabile che venga liberato alla loro vigilia per essere eletto trionfalmente. A quel punto solo i militari potrebbero fermarlo, ma questo aprirebbe scenari devastanti. I sondaggi, sfornati in continuazione, prendono in considerazione due scenari, con Lula e senza Lula.

IL CLIMA DI INCERTEZZA determina una forte frammentazione nelle intenzioni di voto. A parte Jair Bolsonaro, tutti gli altri candidati non superano il 10%. In Brasile il voto è obbligatorio e quel 30% di consensi di cui ancora gode Lula da qualche parte andrà a finire. In uno scenario senza Lula, può prendere quota la candidatura di Marina Silva(movimento Rete), ufficializzata in questi giorni.
Ex leader ambientalista, già ministro dell’ambiente nel governo Lula, una lunga militanza nel Partito dei lavoratori, che poi aveva lasciato per contrasti con Dilma, è arrivata terza alle presidenziali del 2014. Ha appoggiato l’operazione «Lava Jato», denunciando il clima di corruzione che regna nel paese.

Nei confronti di Lula ha espresso solidarietà umana e rammarico per il suo arresto, ma senza difenderlo politicamente, dichiarando che l’ex presidente «sta pagando per i suoi errori».
Nel frattempo, a Brasilia si susseguono le iniziative di protesta di comunità indigene, organizzazioni sindacali, movimenti sociali, per arginare le politiche di Temer. Ma la preoccupazione è grande anche per il dopo Temer.

FONTE: Francesco Bilotta, IL MANIFESTO



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