Pérez Esquivel: «Per la sua guerra contro la povertà Lula merita il Nobel»
Tra le innumerevoli espressioni di solidarietà che stanno giungendo a Lula da ogni parte del mondo, un valore speciale assume la campagna di Adolfo Pérez Esquivel a favore della candidatura di Lula al Premio Nobel per la pace per la lotta condotta dal suo governo contro la povertà. Un’iniziativa, quella del difensore dei diritti umani argentino, vincitore a sua volta del Nobel nel 1980, che ha già raccolto in poche ore oltre 40mila adesioni.
Nella sua lettera al Comitato per il Nobel norvegese, Pérez Esquivel pone l’accento sull’«impegno sociale, sindacale e politico» profuso «per superare la fame e la povertà nel suo Paese», tra quelli al mondo più segnati dalla «disuguaglianza strutturale». La pace, evidenzia il Premio Nobel, «non è solo assenza di guerra», ma è anche l’offerta di «una speranza di futuro», in particolare per «i settori più vulnerabili, le vittime della cultura dello scarto di cui ci parla papa Francesco», coloro che «il sistema economico condanna alla morte e a molteplici violenze». Di conseguenza, un governo che, come quello di Lula, «rappresenta un esempio mondiale nella lotta contro la povertà e la disuguaglianza» meriterebbe senz’altro un riconoscimento «per il suo contributo alla pace nell’umanità».
Un contributo che, nel caso dell’ex presidente brasiliano, si è tradotto in programmi come Fome zero e Bolsa Familia, che, conducendo «fuori dalla povertà estrema più di 30 milioni di persone», hanno fatto del Brasile «un modello di successo riconosciuto mondialmente». Con la sua lotta alla disoccupazione, con le sue politiche sociali, con i suoi programmi di educazione e salute pubblica, il governo Lula ha insomma rappresentato «una costruzione democratica e partecipativa con mezzi non violenti che ha elevato il livello di vita della popolazione e dato speranza ai settori più poveri». Ed è per questo, ha concluso la sua lettera il Premio Nobel argentino, che il mondo riconosce come le due presidenze di Lula, tra il 2003 e il 2010, costituiscano «uno spartiacque nella storia di un Paese diseguale come il Brasile».
FONTE: Claudia Fanti, IL MANIFESTO
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