In Kenya finalmente scoppia la pace tra i due eterni contendenti

In Kenya finalmente scoppia la pace tra i due eterni contendenti

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Dopo una campagna elettorale lunga un anno e tre mesi di periodo elettorale, le elezioni vinte da Kenyatta, poi annullate, poi boicottate dall’opposizione di Raila Odinga, il giuramento di Uhuru Kenyatta come presidente della Repubblica e quello di Raila Odinga come «presidente del popolo», alla fine i due litiganti si sono incontrati: ed è stata una sorpresa per tutti. Uno dei colpi di scena che ha segnato questo periodo della storia del Kenya.

L’improvvisa riunione del 9 marzo tra i due leader è già considerata uno dei segreti meglio custoditi della politica keniana. Odinga ha addirittura definito Kenyatta ndugu yangu (mio fratello). Potrebbe essere la fine di una contesa storica, non solo di questo processo elettorale, ma della frattura storica tra le due più importanti famiglie politiche del paese (entrambi sono figli rispettivamente del primo presidente e del primo vice-presidente) che non hanno smesso di “affrontarsi” dal 1964 a oggi, da quando Jaramogi Odinga venne accusato di voler prendere il posto di Jomo Kenyatta: il primo ritenuto filo-comunista, il secondo filo-occidentale. Una lotta non solo tra etnie locali, Luo (Odinga) e Kikuyu (Kenyatta), ma geo-strategica.

La cronaca di questi giorni racconta che gli stessi alleati di Odinga non fossero al corrente del colloquio, ma nemmeno gli apparati interni alla presidenza della Repubblica. E all’oscuro era lo stesso ministro degli interni Fred Matiang’i. È stato un incontro di due ore e mezza a cui ha fatto seguito una dichiarazione congiunta in cui viene espresso il desiderio di lavorare insieme per il Paese. «Dobbiamo affrontare e risolvere le nostre differenze», ha detto Odinga.

Entrambi dicono di aver capito che il Kenya è più importante di tutto il resto: «Inizieremo un processo di avvicinamento della nostra gente e cercheremo insieme soluzioni sui problemi del nostro Kenya, lavoreremo per la stabilità».

I due leader hanno sottolineato come il Paese sia conosciuto a livello internazionale come un paese violento e corrotto, dominato da «antagonismo etnico e competizione politica divisoria». Quindi è stato concordato un programma per realizzare obiettivi condivisi, contro la corruzione, la frattura etnica e per una politica nazionale inclusiva: insomma, un grande piano per unire il paese. Con l’invito rivolto a tutti a superare il ciclo negativo, nella consapevolezza che «le elezioni da sole non sono la risposta alle nostre sfide nazionali».

Commenti sorpresi e gioiosi sia dagli altri leader politici che dalla gente comune: Wangwana mbarikiwe mpaka mshangae, auguri di ogni benedizione.

FONTE: Fabrizio Floris, IL MANIFESTO



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