Vincono i 5Stelle. L’exploit al sud

Vincono i 5Stelle. L’exploit al sud

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Missione compiuta: il Movimento 5 Stelle vola a cavallo della soglia simbolica del 30%, forse anche oltre. Alla chiusura delle urne, quando i primi exit poll arrivano allo stato maggiore grillino, si respira soddisfazione: «Tutti quanti dovranno venire a parlare con noi usando i nostri metodi, è l’apoteosi», dice Alessandro Di Battista.

È un successo che arriva dal Meridione: appena si apprende che tutte le regioni del sud, dove si aspettavano risultati particolarmente incoraggianti, registrano un’affluenza superiore rispetto a quella del referendum costituzionale del 2016, i grillni capiscono che sta accadendo quanto speravano. È quanto basta a battere in molti collegi uninominali il centrodestra, vero competitor in questo pezzo d’Italia.

Sono duelli che fotografano un popolo alla ricerca di altri punti di riferimento nei territori delle clientele che avvertono la crisi della politica e la fine di una classe dirigente, e che danno il segno alla battaglia più generale. Inoltre, quello del sud dovrebbe essere un afflusso sufficiente a colmare il gap di consensi che ci si aspetta da Veneto e Lombardia, regioni storicamente meno agevoli per i 5 Stelle.

BASTERÀ PER ARRIVARE davvero a Palazzo Chigi? Al comitato elettorale allestito, nel centro congressi di un hotel del quartiere tutt’altro che popolare dei Parioli, con l’assedio di 450 testate accreditate e 90 giornali stranieri, sanno bene che è difficile. Ma paiono coscienti anche del fatto che la sfida non riguarda la conquista della maggioranza assoluta: la posta in palio, col Rosatellum, ha che fare col guadagnarsi una posizione centrale nel complicatissimo tabellone delle alleanze. «Il M5S sarà il pilastro della prossima legislatura», dice Alfonso Bonafede, ministro designato della Giustizia e stretto sodale di Di Maio, mentre le prime proiezioni assicurano che alla Camera i grillini avranno più di 200 seggi.

Quanto basterebbe per «dare le carte» e sperare che qualcuno sottoscriva il «contratto di governo» a 5 Stelle. Il che non era affatto scontato: il M5S ha bisogno di polarizzazione per crescere ma poteva impantanarsi nelle paludi di un sistema più proporzionale che maggioritario. Non appena il centrosinistra ha dato segni di affanno, i comunicatori pentastellati hanno puntato l’altro avversario: «O noi o il vecchio centrodestra». Di fronte a questa scelta secca, cavalcata negli ultimi giorni di campagna elettorale, il messaggio del M5S pare aver trovato nuova linfa, oltre le difficoltà segnate dalle mancate restituzioni o dai candidati iscritti alla massoneria.

NEL POMERIGGIO, Beppe Grillo ha votato al seggio di Sant’Ilario a Genova. Il fondatore del Movimento 5 Stelle ha mostrato ai fotografi e ai reporter il pass col simbolo del M5S, cimelio dell’evento finale della campagna elettorale a piazza del Popolo, e ostentato la scritta «L’Elevato». Accompagnato da una colonna sonora allusiva: in sottofondo l’autoradio della sua auto trasmetteva a tutto volume «Walk on the wild side» di Lou Reed.

E mentre il fondatore del M5S salutava le code alle urne e auspicava il passaggio della maggioranza al lato «selvaggio» dell’emiciclo, l’istituzionale Luigi Di Maio entrava nella cabina elettorale di Pomigliano D’Arco, con tanto di saluto alla piccola folla che gli si faceva attorno, affacciato dal predellino dell’automobile, quasi a sfidare le simbologie e i precedenti ingombranti. Messe da parte le speranze per la Lombardia, l’altro luogo topico della battaglia elettorale pentastellata è Roma: nel Lazio l’affluenza è più bassa del dato nazionale ma nello staff di Roberta Lombardi si è sperato fino all’ultimo in un «traino» nazionale. I numeri paiono darle torto. «Qui la sfida si fa davvero difficile», dicono i suoi. Lombardi si affaccia al comitato elettorale del Parco dei Principi, ma lo spoglio che la riguarda direttamente comincerà solo questa mattina.

Tutti gli altri esprimono malcelato ottimismo per partita nazionale. La ripartizione dei seggi, e la tenuta dell’accresciuto gruppo parlamentare, sono le prime prove per un Movimento che soltanto cinque anni fa si affacciava in parlamento all’oscuro di ogni consapevolezza istituzionale e che adesso si propone di prendere il controllo del Transatlantico.

FONTE: Giuliano Santoro, IL MANIFESTO



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