Il caso Oxfam e le uccisioni dei difensori dei diritti umani
La vicenda degli abusi sessuali commessi da alcuni operatori dell’organizzazione internazionale Oxfam, poi allargata ad altre Ong offre spunto per una riflessione sul contesto che va al di là di considerazioni specifiche sul caso, o sul concetto e la pratica dell’aiuto umanitario, tema già toccato su queste pagine.
Da decenni Oxfam si impegna a combattere la povertà e le disuguaglianze sociali, sostenendo difensori dei diritti umani in tutto il mondo. In Italia è anche attiva nella solidarietà con migranti e rifugiati.
L’anno scorso, per aver denunciato insieme ad altre organizzazioni, i mandanti dell’assassinio di Berta Caceres, fu al centro di una campagna di delegittimazione in Honduras. Ma in una pericolosa spirale di generalizzazioni e stigmatizzazione, gli abusi di alcuni funzionari ad Haiti e in Ciad – già oggetto d’indagine interna – sono divenuti pretesto per delegittimare l’intera organizzazione.
Inoltre, le accuse e gli attacchi sono stati estesi a chiunque si occupi di diritti umani e cooperazione internazionale. L’episodio quindi fornisce occasione per ricordare l’esistenza di una strategia sistematica volta a restringere gli spazi di agibilità civile, e delegittimare organizzazioni della società civile, grandi Ong e movimenti sociali.
In parallelo cresce il numero di difensori e difensore dei diritti umani uccisi ogni anno: nel 2017 sono stati circa 300 in gran parte difensori della terra e dell’ambiente, e per i diritti Lgbtqi.
Prima le organizzazioni e movimenti, ora anche le Ong, sono sotto attacco per l’avanzata di forze politiche di destra e xenofobe e per l’espansione della frontiera estrattivista.
In Italia se ne sono percepite le avvisaglie circa un anno fa con le dichiarazioni del procuratore di Trapani contro le organizzazioni che fanno soccorso in mare, tra cui Msf, SOS Mediterranée, Jugend Rettet, accusate di collusione con gli scafisti.
Dichiarazioni cui seguì una campagna di criminalizzazione e stigmatizzazione e la decisione del Ministro Minniti di istituire un «codice di condotta» per quelle ONG che avessero deciso di sottostare a criteri restrittivi ed inaccettabili per la loro indipendenza e operatività. A farne le spese non solo le Ong che hanno visto ridurre il loro spazio d’azione, le donazioni dalle quali dipendono ed il livello di fiducia dell’opinione pubblica, ma anche attivisti dei movimenti.
La restrizione degli spazi di agibilità per le organizzazioni e i difensori che proteggono i migranti e rifugiati è il tema dell’ultimo rapporto del Relatore Speciale Onu sui Difensori dei Diritti Umani Michel Forst, che verrà presentato al Consiglio Onu sui Diritti Umani a Ginevra il prossimo 1 marzo. Forst era stato in Italia in visita accademica su invito della rete «In Difesa Di» a maggio scorso, al culmine della campagna mediatica contro le Ong che praticano soccorso in mare.
Il rapporto dedicato ai difensori dei diritti delle persone in «movimento» (People on the move categoria che trascende la distinzione arbitraria tra «migrante» e «rifugiato») si sofferma su varie condizioni di negazione dei diritti umani.
Da quella dei difensori dei diritti umani costretti all’esilio o a lasciare temporaneamente il loro paese, ai migranti che diventano essi stessi attivisti per i loro diritti, a chi si adopera per il soccorso e la protezione.
L’Italia è uno degli unici paesi citati assieme all’Ungheria. In particolare viene denunciata la pratica dell’emissione di fogli di via per difensori e difensore che operano nelle zone di confine. Viene anche riportata la testimonianza di un difensore italiano secondo cui: «la criminalizzazione della solidarietà minaccia di promuovere nella pubblica opinione e tra le forze politiche, un’attitudine di indifferenza verso i migranti ed I rifugiati, o posizioni apertamente razziste e nazionaliste».
In conclusione Forst invita gli stati ad assicurare l’agibilità delle organizzazioni della società civile e di chi difende i diritti dei migranti e rifugiati, abbandonando la pratica di criminalizzare chi soccorre persone in mare, assicurando accesso alla giustizia per persone «in movimento» e chi li difende per proteggere i propri diritti.
Per quanto riguarda i difensori che devono lasciare temporaneamente il loro paese si raccomanda di concedere visti umanitari che permettano loro di accedere a programmi di protezione, e si esprime sostegno programmi di accoglienza e rifugio per attivisti, come ad esempio quello olandese delle Shelter Cities o del Paese Basco.
Anche queste proposte assai pertinenti anche per il nostro paese, soprattutto alla luce della presidenza italiana Osce 2018 e della recente risoluzione del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento per la creazione di un programma di protezione per difensori dei diritti umani a rischio.
FONTE: Francesco Martone, IL MANIFESTO
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