Il nuovo Parlament catalano parte tra toni moderati e illustri assenti
BARCELLONA. La dodicesima legislatura catalana si è aperta ieri senza incidenti. Il nuovo parlamento si è riunito per la prima volta dopo che l’ultimo era stato sciolto dall’intervento del governo spagnolo attraverso l’ormai famoso articolo 155 della costituzione spagnola. E con 8 dei suoi 135 deputati assenti: tre perché in carcere, e cinque perché in Belgio. Non era mai accaduto. Nei posto destinati a Oriol Junqueras, Jordi Sánchez e Quim Forn ieri c’era un grande laccio giallo, il colore che durante questi mesi ha simboleggiato in Catalogna la richiesta di liberazione per quelli che gli indipendentisti considerano «prigionieri politici».
Fino a martedì notte non era chiaro quale sarebbe stato l’esito della prima votazione prevista: quella per il presidente e l’ufficio di presidenza della camera catalana. Uno dopo l’altro, erano caduti i tre primi candidati proposti da Esquerra Republicana, che rivendica per sé l’incarico chiave di chi gestirà la vita parlamentare di questa legislatura. L’ex presidente Forcadell, imputata, aveva fatto sapere che gettava la spugna, l’ex ministro di giustizia Mundó (anche lui imputato) si è ritirato dalla politica, l’ex socialista e anziano fratello (ed ex ministro) del presidente catalano Maragall non se la sentiva. Alla fine si è imposto il nome del 38enne sindaco di un paesino in provincia di Girona ed ex deputato Roger Torrent, che prontamente ha assunto un tono moderato e istituzionale, modificando anche la biografia su Twitter, da «deputato del parlamento della repubblica catalana» a un ben più sobrio «15º presidente del Parlamento catalano».
La presidenza temporanea, formata da tre esponenti di Esquerra repubblicana (per età: il più anziano, Maragall, presidente, e i due deputati più giovani, segretari) ha deciso di accettare la richiesta di «voto delegato» fatta dai tre deputati incarcerati. Per evitare imbarazzi, i cinque autoesiliati a Bruxelles non lo avevano domandato: Esquerra sapeva di avere un margine giuridico di ragionevole interpretazione per i primi tre, ma non per gli altri 5, e Rajoy aveva minacciato di impugnare la seduta se lo avessero fatto. Al contrario di Ciudadanos, che pretende di rivedere la decisione, i socialisti hanno dichiarato di essere d’accordo con la decisione di Maragall.
In questo modo comunque gli indipendentisti hanno avuto i 65 voti necessari, dato che En comú podem aveva annunciato l’astensione dei suoi 8 (per non votare il candidato di Ciudadanos). Alla fine, al candidato di C sono arrivati 56 (invece di 57) voti, e in seconda votazione, a Torrent bastava la maggioranza semplice. Come previsto, i membri della presidenza definitiva sono 2 di Esquerra, 2 di Junts per Catalunya (partito di Puigdemont), 2 di Ciudadanos e 1 socialista, di cui solo una donna.
Mentre il discorso di Maragall di apertura è stato molto duro, quello di Torrent, che è considerato molto vicino a Marta Rovira, numero due di Erc, e a Oriol Junqueras, è stato molto più conciliatorio, cosa di cui si sono detti grati in molti. Tanto conciliatorio che la Cup invece lo ha accusato di «tradire lo spirito dell’1 e del 27 ottobre», giorni del referendum e della pseudo-dichiarazione di indipendenza. L’accordo di martedì notte fra Junts per Catalunya e Erc prevedeva l’elezione di Torrent (grazie all’astensione dei Comuni) e di «puntare» su Puigdemont come presidente. Ma è noto che Erc è contraria all’elezione telematica che vorrebbe l’ex president dal Belgio, e sia il partito, sia lo stesso Torrent la settimana scorsa avevano assicurato che avrebbero seguito le indicazioni dei legali della camera (che hanno radicalmente scartato l’opzione telematica). Ora il giovane presidente ha 15 giorni per proporre al Parlament il nome del candidato votabile come futuro presidente catalano.
FONTE: Luca Tancredi Barone, IL MANIFESTO
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