L’Italia dei fuochi: in tre anni 260 roghi di rifiuti speciali

L’Italia dei fuochi: in tre anni 260 roghi di rifiuti speciali

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In fumo i macchinari e in circolo veleni di ogni sorta. I magistrati della Dna: “Bruciare è la migliore scorciatoia, quando vuoi guadagnare di più”. Con l’ombra della ‘ndrangheta in Lombardia, regione record per gli incendi.

ROMA. In questi primi dieci giorni del 2018 ne sono già bruciati due, a Corteolona nel pavese e a Cairo Montenotte, nell’entroterra di Savona. Quest’ultimo rogo, devastante, ha portato alcuni sindaci della Val Bormida a chiudere le scuole. Troppo pericoloso per la salute muoversi all’aria aperta, con la diossina schizzata a livelli impressionanti. Sono notizie che stanno facendo meno rumore delle polemiche sui rifiuti, urbani, della capitale. Eppure sullo smaltimento dei rifiuti speciali, quelli più pericolosi per la salute, è in corso un’autentica guerra: negli ultimi tre anni, specialmente al nord (Lombardia in testa) ma anche nel resto della penisola, più di 250 impianti di trattamento, stoccaggio o deposito dei rifiuti speciali hanno preso fuoco, mandando in fumo macchinari e in circolo veleni di ogni sorta.

Ieri la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha presentato una relazione sul fenomeno. Criminale, visto che in parallelo stanno indagando alcune direzioni distrettuali antimafia. La presidente della “Ecomafie”, Chiara Braga del Pd, non nasconde le sue preoccupazioni: “In alcuni casi si è trattato di cattiva gestione degli impianti. Ma la dimensione, l’articolazione e anche le caratteristiche degli incendi ci dicono che è sbagliato guardarli come episodi a sé”.
Quello sugli incendi agli impianti di trattamento rifiuti è il primo monitoraggio svolto a livello nazionale. La Ecomafie ha avviato all’inizio del 2017 il lavoro di approfondimento, che ha riguardato circa 260 episodi negli ultimi tre anni. La relazione finale è il frutto di numerosi sopralluoghi, decine e decine di audizioni, e di acquisizioni di documenti delle procure e delle agenzie ambientali regionali. “Il lavoro fatto dalla Commissione – tira le somme Braga – evidenzia la portata complessiva del fenomeno”. L’approvazione del testo è prevista per mercoledì prossimo.
Gli incendi censiti dalla Ecomafie sono spesso di dimensioni rilevanti, con grandi emissioni di inquinanti in atmosfera. Il fenomeno ha interessato tutta la filiera del rifiuto, dal prelievo allo stoccaggio, dal trattamento ad riciclo e riutilizzo, ma a colpire è il fatto che solo il 10% dei roghi è avvenuto nelle discariche. E ben il 90% in impianti di selezione, trattamento e stoccaggio. Per giunta il 40% degli incendi è avvenuto nelle regioni settentrionali.
“E’ la ‘ndrangheta che si sta facendo sempre più largo – sintetizza un investigatore – non solo riciclando i guadagni delle attività illecite, ma anche ‘gestendo’ un settore a lei ben conosciuto come quello dei rifiuti speciali”. Settore che, a differenza dei rifiuti urbani, è interamente affidato all’iniziativa privata. Roberto Pennisi, magistrato della Dna, sul punto è stato esplicito: “Bruciare è la migliore scorciatoia, quando vuoi guadagnare di più”. Così i siti di stoccaggio vengono riempiti di materiale. Poi scoppia invariabilmente un incendio e tutto finisce in fumo. Velenosissimo, tanto da far evacuare di volta in volta centinaia, anche migliaia di residenti nell’area interessata dal rogo di turno.
Poi ci sono anche alcune varianti. A dicembre la Dda di Firenze ha sequestrato due aziende di Livorno attive nel settore del recupero e del trattamento dei rifiuti, la Lonzi Metalli srl e la Rari srl, arrestando sei persone (i gestori) per traffico di rifiuti, associazione per delinquere e truffa aggravata. In questo caso i rifiuti speciali, anche pericolosi e nocivi, venivano miscelati e spacciati come ordinari, per abbattere i costi di smaltimento. Per decine di milioni. Tutto quanto finiva poi nelle discariche, pubbliche, di Scapigliato a Rosignano e di Piombino.
Secondo la magistratura requirente, il modus operandi alla Lonzi e alla Rari era paragonabile a quello usato dalla camorra nella Terra dei Fuochi. Ma il brutto è che per anni, come riepilogato dal periodico labronico Senza Soste, all’interno della Lonzi avvenivano periodicamente degli incendi. Senza che alle proteste, e alle denunce, dei residenti venisse data risposta. Anzi, l’autorizzazione della compatibilità ambientale dell’azienda era stata rinnovata dalla Regione Toscana pochi giorni prima degli arresti. Con prescrizioni…

FONTE: Riccardo Chiari, IL MANIFESTO



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