L’agrobusiness della soia OGM
Nel 2016 ne sono state prodotte 340 milioni di tonnellate, su 120 milioni di ettari di superficie. L’Italia ne usa 4,5 milioni di tonnellate
Se è il grano che ha segnato nel corso dei millenni la storia dell’umanità, come ci ricordava Piero Bevilacqua nel primo numero del Gambero Verde, la soia è la regina dell’agro-business. Si sa poco di questa pianta appartenente alla famiglia delle leguminose. Eppure, senza apparire, arriva copiosa sulle nostre tavole. Si muove «sottotraccia». Sta di fatto che questa pianta, in qualche decennio, ha assunto un ruolo strategico nel sistema agro-alimentare mondiale, diventando la componente più importante di tutti i mangimi animali (è la fonte proteica, mentre il mais è la fonte energetica).
La sua produzione è cresciuta vertiginosamente negli ultimi 20 anni, estendendo le sue frontiere e cambiando il paesaggio agricolo di molte aree del pianeta. Superfici sempre più vaste vengono occupate dalla monocoltura di soia geneticamente modificata. Negli ultimi 20 anni ha avuto un incremento medio annuo di produzione del 15%. È diventata la pianta geneticamente modificata più coltivata, precedendo mais e cotone, da quando la Monsanto nel 1995 ha introdotto una varietà con un gene di un batterio che determina la resistenza della pianta all’erbicida glifosato.
Secondo i dati della Fao, l’85% di tutta la soia prodotta nel mondo è Gm. Se c’è una coltura che racchiude in sé tutte le contraddizioni dell’agricoltura moderna e tutti gli «splendori» e le «miserie» dell’attuale modello di produzione e consumo, questa è la soia. Il Wwf ha più volte posto il «problema soia», indicata come la maggiore responsabile della deforestazione delle aree tropicali. Si sollecitano i governi ad attuare politiche di sostenibilità ambientale, al fine di arginare la sua espansione e il massiccio uso di erbicidi, antiparassitari e fertilizzanti. Ma gli interessi dei grandi produttori di soia condizionano le politiche dei governi.
I dati della Banca Mondiale mostrano come, nei tre principali paesi produttori di soia (Stati Uniti, Brasile, Argentina), le politiche di tutti i governi abbiano favorito, attraverso sussidi e sovvenzioni, forti investimenti nella monocoltura di soia Gm. Secondo i dati del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti, nel 2016 sono state prodotte nel mondo 340 milioni di tonnellate di soia, utilizzando una superficie di 120 milioni di ettari. Questa esplosione produttiva è legata all’aumento della domanda di carne e all’aumentato fabbisogno di mangimi animali.
Negli ultimi 15 anni il commercio mondiale di soia è raddoppiato. Eppure questa pianta, arrivata dalla Cina in Europa alla fine del XVII secolo, è stata per 200 anni di marginale importanza. Solo a partire dalla fine degli anni ’60 comincia a essere coltivata su superfici più estese, adattandosi bene sia ai climi temperati che sub-tropicali. Dagli anni ‘90 si accentua la sua espansione su aree precedentemente occupate da foreste e pascoli, sottraendo terreno alla produzione di cereali, legumi, ortaggi da destinare direttamente all’alimentazione umana. In Europa l’impiego della soia è cresciuto notevolmente dal 2000, dopo l’introduzione del divieto nell’uso di farine di origine animale, che rappresentavano il principale veicolo di propagazione della Encefalopatia spongiforme bovina o malattia della mucca pazza.
Secondo i dati Eurostat, l’Ue ha importato negli ultimi anni una media di 36 milioni di tonnellate di soia ogni anno (semi e farine). E il 90% della soia importata è Gm. L’Europa produce solamente 1,8 milioni di tonnellate di soia (non Gm). Secondo la Coldiretti, nel nostro paese vengono impiegate 4,5 milioni di tonnellate di farine di soia per produrre mangimi animali. L’analisi di questi dati ci porta, inevitabilmente, a concludere che la stragrande maggioranza dei prodotti dell’allevamento (carni, prosciutti, salumi, latte, formaggi) sono ottenuti da animali alimentati con Ogm.
Dobbiamo rassegnarci a essere soia Gm-dipendenti? Dipenderà dai governi e dalle scelte dei consumatori. È necessario influenzare i governi affinché operino per favorire le buone pratiche agricole, incentivando il ritorno alla rotazione delle colture. I ricercatori dell’Università del New Hampshire di Durham (Usa) hanno dimostrato l’importanza che ha la rotazione delle colture nel favorire un aumento della quantità di carbonio nel terreno (un indicatore della sua salute) e un aumento della concentrazione di azoto (un indicatore della fertilità). Si è dimostrato, inoltre, che la soia, in rotazione con grano e mais, ha una resa che non è inferiore a quella della monocoltura Gm. E senza il massiccio impiego degli agrotossici. Questo ci dice anche l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (Aiab).
La rotazione delle colture è una condizione necessaria per garantire la sostenibilità dell’ecosistema agricolo. Il 70% della superficie agricola mondiale viene impegnata per produrre mangimi per animali. Per produrre un chilo di carne bovina sono necessari 15-16 kg di alimenti vegetali.
È un modello produttivo sostenibile? Assolutamente no. La salvezza del pianeta è affidata a nuovi modelli di produzione e consumo. A partire dal settore agricolo. Riducendo i consumi di carne, valorizzando le proteine di origine vegetale. E la soia non modificata può avere un ruolo importante nell’alimentazione umana, nel sostituire, in buona parte, la carne.
FONTE: Francesco Bilotta, IL MANIFESTO
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