Migranti. Così l’Italia perde peso in Europa

Migranti. Così l’Italia perde peso in Europa

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Per capire le tensioni che attraversano non solo il governo, ma settori sempre più ampi della solidarietà nazionale a partire dalla Chiesa – vedi le recenti dichiarazioni apparentemente pro governative del cardinal Bassetti – per arrivare al volontariato, sul tema dell’accoglienza, forse basterebbe riportare la cruda realtà di un ragionamento puramente numerico per chiarire la situazione dei migranti verso l’Italia e l’Europa. Se sono diminuiti gli sbarchi, infatti, come annuncia il governo anche grazie al giro di vite sulle organizzazioni umanitarie, non sono certo diminuiti i flussi. È evidente che chi non riesce ad arrivare viene trattenuto da qualche parte lungo il percorso o, peggio, rimandato da dove è venuto, nello specifico in Libia dove nessuna delle organizzazioni delle Nazioni unite, né l’Unhcr né l’Oim, hanno accettato di gestirli a causa delle condizioni disumane dei campi nel deserto. Ora, le motivazioni di fondo, che sembrano non interessare chi è preposto alla gestione dei flussi migratori, da parte di chi propone un modello diverso, sono ben sintetizzate in un libretto di recente pubblicazione, (vedi il manifesto dell’8 agosto scorso) che riporta l’intervento di Louis Massignon, arabista e filosofo, negli anni Cinquanta di fronte alle nascenti Nazioni Unite sul problema annoso dei rifugiati palestinesi: «Ritorno alla mia visita nel paese di Abramo, all’attualità del suo patto di ospitalità con Dio, a quel luogo sacro di Mambre dove la Bibbia ce lo mostra mentre riceve la visita dei tre Angeli e, come diceva Martin Buber, dove il Kiddush di Abramo [in ebraico la benedizione sul vino], aveva consacrato il pasto che lui gli offriva rendendo il nutrimento materiale lecito agli Angeli. Questa benedizione ha fatto rientrare tutta la creazione in quella società sovrumana che è fondata sul pasto dell’ospitalità…. Come davanti a ogni manifestazione autentica del sacro, dobbiamo adottare un’attitudine di rivolta contro qualcosa di intollerabile, contro un peccato proibito che dobbiamo far cessare ad ogni costo prima in noi stessi e poi negli altri».

Questo rimando evangelico rende ragione sia delle posizione che ha assunto la Chiesa in Italia, decisamente a favore dell’accoglienza, seppur regolata, secondo le dichiarazioni del capo della Cei Bassetti, ma anche del diniego di molte organizzazioni non governative a sottoscrivere un regolamento che, di fatto, le priva del loro status internazionale di istituzioni umanitarie. Il punto di convergenza, al di là dell’ispirazione religiosa o civile, è la coerenza, cioè l’etica dei principi combinata con quella delle responsabilità. Al netto delle posizioni contingenti, allora, se la Chiesa non facesse corpo col corpo dei migranti non sarebbe più Chiesa, tradirebbe la sua missione escatologica di salvezza erga omnes. D’altra parte se le Ong che si ritengono umanitarie, dunque indipendenti e neutrali, facessero salire in permanenza a bordo delle loro navi uomini armati – non si badi bene i controlli di routine da parte delle autorità preposte come normalmente si fa – rinuncerebbero al loro status con gravissimo danno per le loro operazioni nel mondo.

Il plauso delle istituzioni europee al comportamento italiano sulla gestione dei flussi è perlomeno peloso. Se a fronte di una chiusura pressoché totale delle frontiere transalpine e del dibattito sulla revisione di Dublino ci mettiamo anche il plauso sulle scelte “muscolari” dell’Italia, sembra evidente che, se e quando, si dovesse riaprire il negoziato sulla redistribuzione dei profughi nelle varie zone europee, la condizione dell’Italia sarà più debole, perché ci verrà fatto notare che se siamo così bravi a fare un lavoro “alla Turca” non c’è necessità di rivedere alcunché, anzi. E allora la resistenza culturale ed etica di molti settori della società civile ed ecclesiale italiana alle nuove regole di ingaggio per le Ong sono, oltre tutto, un baluardo significativo verso possibili ulteriori perdite di peso specifico italiano in ambito europeo ed internazionale.

FONTE: Raffaele K. Salinari, IL MANIFESTO



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