Germania: uguaglianza giuridica per le coppie di gay e lesbiche

Germania: uguaglianza giuridica per le coppie di gay e lesbiche

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C’era una volta il modello tedesco. Da ieri, anche la Germania si è uniformata ai Paesi più avanzati nel riconoscimento dell’uguaglianza giuridica per le coppie di gay e lesbiche: un cammino cominciato nel 2001 nei Paesi Bassi, seguiti due anni dopo dal Belgio, che ora accomuna ventitré stati nel mondo.

LA REPUBBLICA FEDERALE era stata più timida dei suoi vicini occidentali, introducendo nel 2001 le unioni civili riservate a persone dello stesso sesso (Lebenspartnerschaft), lontane dall’essere equiparabili al matrimonio: mancavano i diritti legati alla genitorialità e non vi era nemmeno piena uniformità sul piano dei diritti economici. Fu comunque un grande risultato per la maggioranza Spd-Verdi guidata dal cancelliere Gerhard Schröder, che seppe reggere l’urto della forte opposizione dei democristiani della Cdu/Csu. Da allora la situazione non rimase immutata. Ciò che non fece il parlamento, lo fece la Corte costituzionale.

Una lunga serie di sentenze portò alla progressiva caduta delle discriminazioni che rendevano le unioni civili sostanzialmente diverse dal matrimonio, fino al penultimo passo: il riconoscimento del diritto all’adozione del figlio del partner, la stepchild adoption.

PRIMA DI IERI, quindi, in Germania vigeva un sistema per cui la vita familiare di due persone dello stesso sesso era riconosciuta attraverso un istituto legale riservato solo a loro: un «matrimonio per omosessuali», che dava alle coppie quasi tutti i diritti del matrimonio, salvo l’adozione piena. Per il movimento lgbt, e per le forze di sinistra, non bastava. Per motivi simbolici, che però, su questo terreno, si trasformano in sostanza. E per l’evidente ingiustizia nell’accesso all’adozione. Bastava invece alla maggioranza delle forze democristiane Cdu e Csu, che, dopo averle osteggiate, erano diventate le sostenitrici delle unioni civili «alla tedesca», il modello a cui in Italia si è esplicitamente richiamato il Pd di Matteo Renzi con la legge Cirinnà approvata nel maggio dello scorso anno (comunque monca della stepchild adoption). Da ieri il nostro Paese è dunque nuovamente isolato rispetto al nucleo dei fondatori dell’Unione europea e agli stati della parte occidentale del Vecchio continente, che riconoscono tutti il matrimonio egualitario.

LA NORMA APPROVATA ieri dal Bundestag è molto semplice, di appena tre articoli. In sostanza, modifica un articolo del codice civile (il 1353), introducendo un breve inciso. Dalla versione originaria che recitava «Il matrimonio è contratto a vita» si passa a «Il matrimonio fra persone di sesso diverso o dello stesso sesso è contratto a vita». In automatico, tutti i restanti articoli del codice riguardanti il matrimonio si intendono modificati. Le unioni civili vengono così rottamate: d’ora in avanti non potranno più essere stipulate, mentre quelle esistenti (erano 43mila nel 2015, ultimo rilevamento ufficiale) potranno trasformarsi in matrimonio previo passaggio di fronte a un ufficiale di stato civile. Non è prevista alcuna forma di riconoscimento delle convivenze di fatto – fra etero o omosessuali senza differenza – come la normativa del Pacs francese o quella della seconda parte della Cirinnà (commi 36-65 dell’unico articolo).

AL LEGISLATORE TEDESCO non è servito modificare la Costituzione, come invece sostenevano i conservatori. La Legge fondamentale della Repubblica federale ha l’articolo 6 dedicato alla famiglia, che ricorda l’articolo 29 di quella italiana. E simili sono le argomentazioni degli avversari dell’uguaglianza: l’apertura del matrimonio a gay e lesbiche sarebbe incostituzionale. Peccato che in Germania come in Italia non ci sia alcun riferimento letterale al fatto che il matrimonio sia da intendersi necessariamente fra persone di sesso diverso. Ieri ha prevalso finalmente l’opinione di quanti ritengono che il concetto di matrimonio della Costituzione del 1949 possa essere pacificamente interpretato alla luce del suo mutato significato nel nostro tempo, seguendo lo stesso ragionamento interpretativo fatto proprio dalla Corte costituzionale spagnola (anche lì si trattò di una «banale» modifica del codice civile) o dalla Corte suprema Usa con la storica sentenza del 26 giugno 2015.

FONTE: Jacopo Rosatelli, IL MANIFESTO



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