Diritti Lgbt, attivista italiano fermato a Mosca
MOSCA. Yuri Guaiana, attivista per i diritti lgbt e leader dell’associazione radicale Certi Diritti, è stato fermato ieri mattina in pieno centro di Mosca dalla polizia locale mentre assieme ad altri quattro attivisti russi per i diritti civili (Marina Dadeles, Alexandra Alexeeva, Valentina Dechtyarenko e Nikita Safronov) tentava di consegnare al Procuratore Generale della Federazione Russa i due milioni di firme raccolte contro la persecuzione dei gay nella Repubblica Autonoma Cecena.
Secondo la polizia, i cinque attivisti sarebbero stati fermati perché in procinto di inscenare una manifestazione non autorizzata.
Yuri, dopo l’intervento del nostro consolato a Mosca, è stato rilasciato nel pomeriggio, così come gli attivisti russi, e ha fatto rientro in Italia. Contro Yuri Guaiana è stato comunque aperto un procedimento per resistenza a pubblico ufficiale, accusa respinta nettamente dal nostro connazionale.
Lo scorso 1 aprile il giornale Novaya Gazeta aveva pubblicato un reportage in cui si denunciava che in Cecenia oltre 100 cittadini gay erano stati rinchiusi in «campi speciali di detenzione» e tre di loro erano stati addirittura uccisi.
Queste misure “preventive”, che ricordano le pagine più lugubri della storia del ’900, sarebbero state prese dal governo ceceno dopo che a marzo scorso si erano svolte in alcune città del Nord del Caucaso manifestazioni lgbt e gay parade. Una «infezione», che il governatore ceceno Ramzan Kadyrov avrebbe pensato di curare a modo suo.
Kadyrov, comunque, durante la visita a Putin della scorsa settimana ha respinto le accuse al mittente parlando «di provocazione». Tuttavia, dopo che le accuse sono state rilanciate da Angela Merkel durante la sua recente visita a Mosca, la presidenza russa ha fatto dei timidi passi avanti al fine di chiarire quanto sta accadendo.
Incalzato dalla stampa Putin ha dichiarato: «Sicuramente parlerò con il Procuratore Generale e il ministro degli Interni al fine di conoscere la condizione delle persone che hanno un orientamento sessuale non-tradizionale nel Nord del Caucaso».
Il riluttante intervento del capo del Cremlino, oltre che la terminologia usata, è stata la conferma per molti osservatori che la discriminazione su base sessuale non sia un problema solo ceceno. Purtroppo, come ha segnalato un recente sondaggio, anche la maggioranza della popolazione russa continua a considerare l’omosessualità come una “devianza” e un comportamento “innaturale da sanzionare”.
Il governo russo, da parte sua, è convinto che dietro le manifestazioni per i diritti civili e democratici ci siano in realtà campagne orchestrate da ong occidentali legate a potenze finanziarie che hanno come obiettivo screditare politicamente il paese.
In Cecenia, malgrado formalmente la shari’a non venga applicata, vengono «vivamente consigliati» alla popolazione stili di vita e comportamenti che «non rappresentino una provocazione per le tradizioni islamiche», come il divieto per le donne di mostrarsi a capo scoperto, di indossare gonne sopra il ginocchio e fumare in pubblico, mentre la poligamia viene propagandata «come strumento per difendere l’integrità etnica del nostro paese».
L’omosessualità, inutile dirlo, viene considerata dalle istituzioni locali «una aberrazione» da stroncare.
Intanto, nella regione, la guerra che oppone la guerriglia indipendentista e le forze di sicurezza russe, ufficialmente dichiarata conclusa nel 2009, è proseguita sotto traccia. E con essa lo stillicidio di assassini e sparizioni di attivisti dei diritti umani.
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