Cipro: un’isola di divisioni, un unico documento per turchi e greci originari
È Nikosia, o Lefkosia secondo la dicitura greca, la città due volte capitale. O l’ultima capitale divisa- sempre a seconda del punto di vista. Capitale, da un lato, della Cipro-Stato membro dell’Unione Europea, la Repubblica divenuta indipendente nel 1960. Capitale, dall’altro, della Repubblica Turca di Cipro Nord, territorio occupato militarmente dall’esercito turco nel 1974 e proclamato indipendente nel 1983, ma riconosciuto, ad oggi, solo dalla stessa Turchia. Città – e isola – divise dal 1974 secondo la “green line”, decisa dieci anni prima dal generale britannico Peter Young e tuttora sotto il controllo di una missione di pace delle Nazioni Unite. Città – e isola- divise non solo da una frontiera.
Seppure l’apertura di diversi checkpoint lungo il confine a partire dal 2003 abbia trasformato, per l’appunto, il passaggio di confine in una pura formalità e il flusso di turisti e ciprioti che attraversano il confine aumenti di anno in anno, basta allontanarsi di qualche metro dal centro pedonale per rendersi conto che la quotidianità è tutt’altra. E che il conflitto e le difficoltà affrontate dalla popolazione greco-cipriota e da quella turco-cipriota negli ultimi decenni caratterizzano tuttora i rapporti tra le due comunità condizionando il futuro, unito o separato, dell’isola. Ci si scontra con una realtà fatta di divisioni più o meno evidenti, di filo spinato, barili bianco-azzurri Onu, caschi blu e zone militari. Una divisione evidenziata da interi quartieri abbandonati lungo in confini su entrambi i lati e dall’evidente differenza di sviluppo economico tra il nord e il sud di Cipro.
E bastano un paio di chiacchierate con gli abitanti dell’isola per rendersi conto che dietro all’apparente distensione dei rapporti e ai tentativi di conciliazione promossi negli ultimi anni dai massimi esponenti governativi, si celano innumerevoli storie di sofferenza, rammarico e risentimento reciproco. E ci si accorge che le problematiche irrisolte vanno ben oltre una potenziale riunificazione, a partire dalla storia e dal passato affrontati ognuno a modo suo. E dalle informazioni turistiche fornite dalle autorità di entrambi i territori.
“L’indipendenza fu concessa nel 1960, ma a causa di un tentativo di occupazione da parte della Grecia, la Turchia nel 1974 fu obbligata ad intervenire per salvaguardare la popolazione turco-cipriota” è la descrizione contenuta nel catalogo turistico ufficiale della Repubblica del Nord. “La capitale è stata divisa nel 1963 in seguito a una ribellione turca da una ‘linea verde’ ed è tuttora suddivisa in un quartiere greco e uno turco. Come ben visibile, la zona greca gode di un buono sviluppo, mentre sono evidenti i danni causati dall’occupazione turca a nord” precisa invece un depliant informativo nella Cipro del Sud. Le cartine distribuite dagli uffici turistici di entrambi i territori, poi, non nascondono di certo una situazione ad oggi ricca di tensioni: in entrambi i casi metà città è oscurata o non riporta i nomi delle strade.
“Vuole andare a Nord? Non c’é niente da vedere, e in ogni caso vengono rilasciati visti per un solo giorno”, mi viene spiegato all’ufficio informazioni turistiche di Limasol, una delle principali località cipriote situate nel lato sud dell’isola. I visti, invece, durano tre mesi e di cose da vedere, a Nord, ce ne sono molte, trovandosi proprio nella zona occupate alcune tra le località più significative e delle spiagge più belle dell’isola.
“Cercano di strozzare economicamente i territori occupati, e ci stanno riuscendo, trattenendo nella Repubblica la maggior parte dei turisti”, sostiene Serge, greco-cipriota gestore di un ostello per la gioventù, che, a differenza dei suoi connazionali, vorrebbe incrementare il flusso turistico verso quella che considera l’altra metà della sua patria. “I miei genitori sono nati a Famagusta, città dalla quale tutti i greci-ciprioti sono stati espulsi in seguito alla guerra – aggiunge – distruggendone il nucleo alberghiero, ma da qualche parte bisogna ripartire. E Cipro non può rimanere divisa”.
Famagusta-Gazimagusa secondo la dicitura turca post-occupazione, si presenta proprio così: enormi potenzialità turistiche non sfruttate ed interi quartieri abbandonati e trasformati in zone militari sorvegliate a vista da soldati armati. “Erano le zone residenziali abitate dai greci-ciprioti, erano loro a gestire la maggior parte degli hotel”, commenta Hasan, turco-cipriota residente nella città costiera che un tempo era una delle principali mete turistiche dell’isola. “Tutti quei quartieri sono stati chiusi su decisione delle Nazioni Unite per evitare che gli edifici venissero venduti o occupati, in attesa di una risoluzione del conflitto. Che dire, sono passati ormai più di trent’anni”.
Una memoria storica condivisa fino agli anni 60, poi la divisione, rimasta indelebilmente impressa nelle teste della gente: trasferimenti di massa per uniformare etnicamente le popolazioni dei due Stati, violenze, perdite di terreni e abitazioni da entrambi i lati. “Ci dicono che dobbiamo perdonarli ed è vero che molti di loro non hanno colpe, ma come faccio a dimenticare che da piccola sono stata sbattuta fuori casa e che i miei genitori hanno dovuto ricostruirsi un’esistenza in un’altra città ?” – si chiede Sandra, una dei tanti rifugiati greco-ciprioti che hanno lasciato le proprie abitazioni in seguito all’occupazione del Nord.
Anche Achmet é un rifugiato, espulso dalla sua abitazione nella Repubblica di Cipro e residente, dal 1974, a Gazimagusa. “Negli ultimi decenni sono stati trasferiti qui, nella Repubblica del Nord, tanti turchi provenienti dalla terraferma” – spiega, mostrando orgoglioso i suoi due documenti d’identità . Uno è il suo permesso di residenza nella Repubblica del Nord, l’altra la carta d’identità che testimonia la sua appartenenza all’isola e che da qualche anno gli permette di transitare liberamente tra nord e sud, mentre ciò ai turchi-ciprioti di nuova generazione, quelli immigrati dopo il 1974, non è permesso. “Questo documento è uguale per tutti i ciprioti originari dell’isola, sia quelli greci che quelli turchi. A volte penso che sarebbe meglio mantenere solo questo documento, quello di noi turchi e greci ciprioti insieme. Questa, in fondo, é la nostra isola”.
Michela Perathoner
(Gerusalemme – inviata di Unimondo)
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