Il voto olandese spaventa l’Unione europea
Per l’Europa è il calcio d’inizio di una partita dall’esito incerto. Domani l’Olanda va alle urne e il risultato del voto potrebbe condizionare pesantemente il futuro stesso dell’Unione europea. Nonostante i sondaggi lo diano da giorni in calo rispetto al partito del premier liberale Mark Rutte (e dietro anche – stando a un sorprendente sondaggio di ieri – alla Sinistra Verde di Jesse Klaver), non è affatto scontato infatti che alla fine Geert Wilders, leader anti-islam e antieuropeista del Partito della Libertà non possa farcela, dando così il via a un pericoloso effetto domino che dopo l’Olanda potrebbe riguardare anche Francia, Germania e repubblica Ceca, i prossimi tre paesi attesi al voto. Ad aumentare le incertezze ci sono i molti olandesi ancora indecisi su chi votare e, da ultima, la crisi diplomatica con la Turchia che rischia di avvantaggiare le tesi anti-immigrati di Wilders.
Sono 13 milioni gli olandesi chiamati a scegliere tra 28 partiti e 1.114 candidati in corsa per 500 seggi alla Camera bassa del parlamento attraverso un sistema proporzionale senza soglia di sbarramento. Si calcola che potrebbero essere almeno 14 le formazioni in grado di farcela, delle quali otto con non più di dieci deputati. Ne risulterebbe un parlamento estremamente frammentato in cui la ricerca di una maggioranza utile per un futuro governo potrebbe richiedere molto tempo. Anche perché almeno finora nessuno dei partiti in lizza si è detto disponibile ad allearsi con Wilders nel caso dovesse vincere.
In qualche modo però il leader del Pvv ha conseguito già la sua vittoria, visto che da mesi monopolizza la campagna elettorale imponendo le sue parole d’ordine che prevedono la «de-islamizzazione» del paese attraverso la chiusura delle frontiere agli immigrati e il divieto del Corano. Insieme alla promessa, in caso di vittoria, di un referendum sulla permanenza o meno nell’Unione europea. Dopo la Brexit, la possibilità di dover adesso fare i conti con lo spettro di una Nexit innervosisce non poco i leader europei.
Esempio in passato di tolleranza, multiculturalismo e convivenza pacifica, l’Olanda oggi sembra aver imboccato una strada decisamente diversa. Il 22% dei suoi circa 17 milioni di abitanti ha origine extra-europee senza che questo finora avesse costituito un problema. A Rotterdam, città guidata dal sindaco di origine marocchina Ahmed Aboutaleb, la metà della popolazione è di origine straniera e vi convivono ben 143 nazionalità diverse. Stessa cosa, anzi di più, a Almere, settima città del paese, con 153 nazionalità diverse ma anche con il primato di far risultare quello di Wilders il partito più votato. Eppure la crisi dei migranti del 2015 non ha colpito l’Olanda in maniera pesante come è successo ad altri Paesi europei. Le richieste di asilo presentate da siriani, eritrei, afghani e iracheni sono state appena 33 mila, niente in confronto alle 100 mila registrare nella vicina Svezia che ha meno della metà degli abitanti.
Inutile anche cercare motivazioni economiche agli atteggiamenti di intolleranza. Quella olandese è un’economi capace di vantare un Pil cresciuto nel 2016 del 2,1% e una disoccupazione sotto il 6% (la media europea è del 9,6%). Nonostante tutto questo nel 2015, secondo quanto denunciato in un rapporto dell’Osce, ci sono stati 2.215 crimini di odio o di violenza razzista, 439 dei quali compiuti sulla comunità islamica e in particolare sulle donne, colpevoli di indossare il velo.
Certo, in questi anni il governo di coalizione liberal-laburista ha imposto anche una serie pesante di tagli, sui quali adesso Wilders soffia per convincere gli olandesi a preferirlo. Solleticando contemporaneamente la diffidenza che da sempre dimostrano verso Bruxelles, nonostante l’Olanda sia uno dei sei paesi fondatori della Ue. Come dimostra il referendum con cui nel 2005 hanno affossato al Costituzione europea, ma anche quello che ad aprile dell’anno scorso ha bocciato l’accordo di associazione tra Ue e Ucraina, voto letto dai più come un messaggio ostile all’Unione europea.
«Voglio che l’Olanda sia il primo Paese a fermare questo trend di populismo. C’è un reale rischio che, quando il 16 marzo ci sveglieremo in questo Paese, Geert Wilders starà guidando il maggior partito», è l’appello rivolti ieri agli elettori da Rutte. Una possibilità che, in queste ore, in Europa sono in molti a temere.
Related Articles
Giustizia sociale, Italia ventitreesima in Ue. Il peso del gap generazionale
Peggio di noi solo Ungheria, Bulgaria, Romania e Grecia. Cattiva la gestione dei tagli attuati dai paesi più colpiti dalla crisi. Il rapporto della fondazione tedesca Bertelsmann Stiftung rileva come negli ultimi anni si sia allargata la forbice fra nord e sud-est Europa
Cina e Corea del Nord. Xi incontra Kim e gli ricorda chi comanda
Dopo due giorni di mistero, ufficializzato il meeting a Pechino tra i due leader. «Pronti a denuclearizzare e a incontrare Trump»
LA FRANCIA CHE CAMBIA
Non considero così irrilevante il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali francesi come lo giudicano Marco d’Eramo e Daniela Preziosi.