Voucher, tra nuova legge e referendum CGIL
Verso il referendum. Si tenta un accordo tra Pd, M5S, Lega e Forza Italia. La Cgil in piazza l’8 aprile
Il cerchio si stringe intorno alla proposta di legge che potrebbe dare risposta al quesito referendario sui voucher, ma dopo la ristretta di ieri in Commissione Lavoro della Camera – partiti di maggioranza e opposizione – il tema continua a dividere. Il governo, per bocca del ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ha espresso la sua preferenza per un ritorno alla normativa Biagi del 2003: i ticket – ha spiegato – «vanno drasticamente limitati per essere usati dalle famiglie per piccoli lavori, e non dalle imprese».
Un criterio di massima su cui avrebbero concordato Pd, M5S, Forza Italia e Lega, nell’attesa che la relatrice Patrizia Maestri (Pd) sintetizzi le diverse posizioni in una bozza di legge attesa per mercoledì prossimo. Ma l’Ncd è contrario, e Maurizio Sacconi annuncia battaglia al momento del passaggio in Senato. D’altronde sul tavolo del governo ci sarebbero altre ipotesi: consentire l’uso dei ticket alle imprese artigiane (con zero dipendenti), o rafforzare il lavoro a chiamata come sorta di riequilibrio.
INTANTO LA CGIL ha intenzione di mobilitarsi l’8 aprile, con una manifestazione in Piazza del Popolo a Roma, per sostenere i due referendum – voucher e appalti – quando ormai la data della consultazione sarà nota: lo ha anticipato l’agenzia Dire, e nei prossimi giorni dovrebbe avviarsi la macchina organizzativa. Il voto dovrà tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno, e il governo deve fissarlo entro l’11 marzo, ma lo stesso Poletti ieri non ha risposto a chi gli chiedeva se l’argomento verrà affrontato nel consiglio dei ministri di domani.
«I voucher vanno modificati», perché «è ragionevole che vengano usati dalle famiglie per i piccoli lavoretti e non dalle imprese che hanno i contratti di lavoro e quelli devono utilizzare», ha spiegato quindi Poletti ieri, precisando che il governo si sta confrontando con la Commissione Lavoro della Camera per una proposta di legge condivisa, e che il tema verrà affrontato in una «riunione tecnica» oggi a Palazzo Chigi.
Il nodo più dibattuto è appunto quello del divieto assoluto per le aziende di utilizzare i contestatissimi buoni. Nelle settimane passate era emersa la volontà di proibirli solo per agricoltura ed edilizia – i settori a più alto tasso infortunistico – ma la Cgil aveva opposto il suo altolà, segnalando che oltretutto una riforma così blanda non avrebbe risposto appieno al quesito referendario.
I CRITERI EMERSI nella riunione di ieri in Commissione Lavoro della Camera sono stati esposti dal presidente Cesare Damiano, che preme per il ritorno alla normativa prevista dalla legge Biagi: «È fortemente sostenuta la tesi di prevedere l’utilizzo dei voucher esclusivamente per le famiglie, escludendo imprese e Pubblica amministrazione», ha spiegato. Aggiungendo che si prevede anche di individuare «delle eccezioni mirate», ad esempio per la raccolta stagionale agricola effettuata da pensionati e studenti. Si ipotizza infine di «riabbassare da 7 mila a 5 mila euro il limite massimo del compenso annuo».
Ma questi parametri non sono per il momento tutti assicurati. C’è chi preme infatti – a partire dall’Ncd – per non escludere tutte le imprese dall’uso dei voucher: potrebbero continuare a usarli quelle con zero dipendenti, ad esempio gli artigiani. Ipotesi contro cui si sono espressi già i Cinquestelle: Tiziana Ciprini spiega che i buoni «vanno limitati ai lavori effettivamente accessori e occasionali e ad alcune categorie di persone: per esempio studenti, pensionati o casalinghe, abbassando la soglia annua a 5 mila euro». No assoluto all’uso per le imprese senza dipendenti: si trasformerebbero «in uno strumento elusivo delle assunzioni subordinate». Nel pubblico, «ok solo a usi solidali ed emergenziali, non per le attività ordinarie, ed eliminiamo questo strumento dalle statistiche sull’occupazione». Se non verranno soddisfatte queste condizioni, conclude, «diamo la parola al popolo, votando al referendum della Cgil».
UNA TERZA IPOTESI che starebbe valutando il governo prevederebbe infine, quasi a riequilibrare la limitazione dei voucher, di allentare i vincoli del lavoro a chiamata, strumento già della Biagi, poi messo quasi in soffitta dopo alcune modifiche: verrebbe esteso a tutte le fasce di età, abolendo il divieto per i lavoratori compresi tra i 25 anni e i 50 anni. Una nuova «valvola di sfogo» per le imprese, ad alta intensità di precarietà, ma che perlomeno prevede la firma di un contratto.
La Cgil per ora, in attesa di vedere la bozza, resta scettica: la segretaria Susanna Camusso ieri ha spiegato che tutte le ipotesi in campo «non affronano il tema della precarietà».
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