Alessandro Dal Lago: CIE, un’ipocrisia tutta italiana

Alessandro Dal Lago: CIE, un’ipocrisia tutta italiana

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La protesta del Centro di prima accoglienza di Cona, in seguito alla morte di una donna ivoriana, fa emergere le contraddizioni, le ipocrisie, l’arretratezza civile e istituzionale dell’Italia quando si affronta la questione dei migranti. E porta alla luce, se solo si dà un’occhiata ai blog e ai commenti online sui quotidiani, quanto di torbido si muove nella pancia del paese (e che viene sfruttato a fini elettorali non solo dai movimenti xenofobi e populisti, ma anche da alcuni ministri del governo post-renziano). Con metà di un continente, l’Asia, in preda a guerre di ogni tipo, e con un altro, l’Africa, stremato da fame, povertà, conflitti armati, dittature e guerre per bande, pensare di fermare migranti e profughi è peggio di un’illusione: è un puro e semplice incentivo alle stragi nei deserti e in mare.

Quali che siano le spinte a lasciare i propri paesi – la fuga dalle bombe, la mera sopravvivenza, una vita decente, il miraggio del benessere, il ricongiungimento famigliare e così via – queste sono oggi più potenti della paura di morire prima di arrivare a destinazione. I migranti conoscono i rischi del viaggio, in un mondo in cui l’informazione è ubiqua. Ed è del tutto ovvio che, data la vastità della domanda, c’è chi organizza l’offerta: i passeur, gli scafisti, i signori della guerra e i governi che lucrano sulla disperazione.

Ma ridurre il problema agli intermediari è una prova di ottusità. Migranti e profughi continueranno ad arrivare finché le cause delle partenze resteranno. Pensare di diminuire i numeri degli arrivi con elargizioni, vere e proprie elemosine, alla Tunisia, ai signori della guerra libici e a uno stato come il Niger, crocevia delle migrazioni africane verso il Mediterraneo, è ridicolo.

Ci hanno provato Prodi, Amato, Pisanu e comprimari vari. Non ci riuscirà Minniti. Per un motivo molto semplice. Come è del tutto evidente, le controparti africane – stati disgregati o signori della guerra – hanno tutto l’interesse a non bloccare i passaggi, per continuare a incassare la mancia. Quello che faranno, e che hanno già fatto ai tempi di Gheddafi, è vessare i migranti che vengono da altri paesi, spogliarli e internarli in condizioni inimmaginabili. La missione africana di Minniti sarebbe una farsa, se non comportasse queste tragedie.

Migranti e profughi continueranno ad arrivare. E poiché, al di là dei proclami, mancano i fondi per i rimpatri, ecco l’idea geniale di Minniti: moltiplicare i Cie, cioè le prigioni extra-legali in cui migranti e profughi saranno parcheggiati per mesi, in attesa di essere congedati con un panino, una bottiglia d’acqua e, se va bene, un biglietto dell’autobus. Parcheggiati e poi fatti sparire perché non diano fastidio, con la loro presenza, ai cittadini che si mettono sul piede di guerra non appena avvistato uno straniero all’orizzonte (come a Goro). D’altra parte, se le condizioni del Cpa di Cona sono quelle che abbiamo visto, figuratevi i Cie, militarizzati e sottratti a ogni sguardo o controllo pubblico.

Migranti e profughi continueranno ad arrivare. Ma è del tutto evidente come le nostre autorità non abbiano in mente alcuna strategia di medio o lungo periodo per integrare legalmente i migranti e profughi nella società italiana, e cioè nei sistemi del lavoro, nell’abitazione, nell’educazione e così via.

Abbandonati a loro stessi, migranti e profughi vivranno nel limbo dell’inesistenza sociale. E l’ostilità dei paesani, per quanto nutrita di leggende e pregiudizi, non potrà che aumentare.

Migranti e profughi continueranno ad arrivare nei paesi europei di frontiera. Su questo punto non basta appellarsi all’Europa, con il cappello in mano, perché ne prenda un po’.

Bisognerebbe pensare a un piano di inclusione continentale e sanzionare le inadempienze dei governi fascistoidi di Ungheria o Polonia. Ma è del tutto evidente che né Juncker, né Merkel imboccheranno questa strada. Tanto meno se il loro interlocutore è un Alfano o, in un futuro non del tutto improbabile, un Di Maio.

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