Strage di Istanbul. L’azzardo di Erdogan
I terroristi cercano sempre pretesti. Guardano le date, seguono le news e poi ne scelgono uno. Questa volta è toccato al Capodanno. «I musulmani non possono festeggiarlo», il primo gennaio «è una ricorrenza fissata in nome di un falso Dio», hanno scritto fonti Isis (per altro insieme ad alcuni giornali) prendendosela con il Papa, Giulio Cesare, il calendario Gregoriano. Un modo per incitare all’odio e giustificare l’uccisione dei musulmani che si trovavano nel night club. Non è un’assunzione di responsabilità, però poco ci manca. È sempre necessario essere prudenti perché in Turchia non tutto è ciò che sembra, con molti protagonisti in un «teatro» instabile con diversi attentati mai rivendicati.
Ai primi di novembre, dopo quasi un anno di silenzio, il Califfo Al Baghdadi ha incitato ad attaccare i turchi, una dichiarazione di guerra pubblica dopo i massacri condotti nei mesi precedenti senza dire «siamo stati noi», scelta — spiegano gli osservatori — per lasciar spazio a eventuali baratti. Poi, a dicembre, il nuovo portavoce dello Stato Islamico, Abu Hassan al Muhajir, è tornato a spronare i suoi: colpite case, mercati, esponenti religiosi, ambasciate e club. E non c’era bisogno di creare network visto che sono presenti da anni. Prima con i colori qaedisti-salafiti, quindi sotto l’egida Isis. Veterani del conflitto afghano e nuovi discepoli sono confluiti in una realtà resa più agguerrita dal conflitto siriano. Un crescendo sancito dalla propaganda con articoli su «Kostantiniyye», il magazine turco del Califfato.
Gli uomini in nero hanno puntato su nuclei di reclutamento locali, in almeno 4 città, usando Gaziantep come snodo, per la vicinanza al territorio siriano. Secondo l’esperto Aaron Stein hanno seguito un percorso: «pescaggio» di seguaci, 4 mesi di preparazione in case sicure in Turchia, trasferimento in Siria, corsi di indottrinamento e training, rientro in patria con suddivisione dei compiti. Di nuovo «ingaggio» di elementi, preparazione di basi, operazioni, comprese quelle suicide.
Lo Stato Islamico avrebbe costituito due ali. La prima si occupa dei curdi e di altre minoranze, deve uccidere per innescare conflitti «etnici». La seconda ha come target il turismo e l’economia, con il piano di destabilizzare. E se ripercorriamo la cronaca di questi due anni è evidente come i jihadisti in Turchia non abbiano trascurato alcun bersaglio: i raduni politici curdi, i visitatori europei, l’aeroporto di Istanbul. Il modus operandi ha rispecchiato quello classico, con kamikaze, bombe, missioni sacrificali, mujaheddin che aprono il fuoco. Azioni simili a quelle viste al teatro Bataclan di Parigi e nel night di Orlando, sintesi di luogo di divertimento, ma anche punto facile da assalire.
Gli scontri tra soldati turchi e Isis nel Nord della Siria hanno spinto il Califfato ad alzare il livello della sfida. Prende alle spalle gli avversari, cerca di causare vittime alle truppe (cosa avvenuta) come ai civili, squarcia la società. Inoltre i jihadisti potrebbero presentare le loro incursioni come una risposta al voltafaccia di Erdogan che ha scaricato una parte degli insorti segnando la sorte di Aleppo Est. Svolta resa possibile dal riavvicinamento diplomatico con Mosca, una linea che non piace certo agli islamisti. E questo apre anche uno scenario che vede protagonista Al Qaeda, magari attraverso militanti caucasici o asiatici.
Così gli apparati di sicurezza — sconvolti dalle purghe lanciate dopo il fallito golpe — sono stati sommersi dalle minacce. Il conflitto con i curdi è cresciuto, la fazione dissidente dei Falchi ha martellato con le autobombe mentre la guerriglia del Pkk ha incalzato nel Sudest. Ieri sera il leader Murat Karaylan ha peraltro negato ogni coinvolgimento nel massacro del veglione.
L’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara — una storia ancora tutta da chiarire — ha mostrato fragilità e forse complicità in un Paese dove fondamentalismo, nazionalismo, servizi deviati, provocatori si trovano a loro agio. Da sempre. Un’area grigia che, anche se è insidiosa per il governo, diventa utile per dirottare l’attenzione verso «mani straniere». Erdogan, infatti, cavalca i sospetti, allude a un coinvolgimento americano, punta a poteri speciali con il cambio della Costituzione. Un modo scontato per nascondere le responsabilità proprie. Hanno lasciato che le radici estremiste si allargassero, hanno tollerato il passaggio di aspiranti al martirio e ora si trovano il nemico sulle rive del Bosforo.
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