Profughi abbandonati lungo i confini della rotta balcanica
BELGRADO Deportati, costretti a camminare di notte in pieno inverno attraverso il confine o respinti e abbandonati nelle foreste dei Balcani. Nella lunga lista degli abusi compiuti dalle polizie di frontiere di Ungheria, Croazia e Bulgaria contro i migranti, si aggiunge ora questa nuova pratica, la deportazione illegale di uomini, donne e bambini dopo la chiusura, avvenuta a marzo scorso, della rotta balcanica percorsa nel 2015 da centinaia di migliaia di disperati ansiosi di entrare in Europa.
L’ultimo caso, almeno di quelli conosciuti, si è avuto il 17 dicembre in Serbia, vittima una famiglia curdo-siriana composta da 7 membri tra cui un bimbo di due anni, una ragazza e due donne. La famiglia era stata registrata dalle autorità serbe a Belgrado che le avevano assegnato un posto nel campo di Bosiljgrad, nel centro-sud del paese. Partiti da Belgrado nella mattina, vengono intercettati verso le tre del pomeriggio da una delle pattuglie miste composte da poliziotti e militari, le cosiddette joint forces, e fatti scendere dal pullman sul quale stavano viaggiando. Gli agenti hanno stracciato i loro documenti e dopo averli obbligati a salire su un furgone li hanno abbandonati ai confine tra Serbia e Bulgaria dove di notte la temperatura scende fino a 11 gradi sotto lo zero.
Persi nella foresta in mezzo alla neve alta un metro, terrorizzati, i sette profughi riescono a raggiungere con il cellulare un’attivista di Info-Park, un’associazione che offre supporto legale a Belgrado, e comunicarle via WhatsApp le coordinate Gps. L’attivista dà l’allarme mettendo in moto i soccorsi, ma intanto le due donne perdono conoscenza e il bambino ha un inizio di congelamento. Quando finalmente i soccorsi riescono a raggiungerla la famiglia di migranti è ormai giorno e le due donne sono in ipotermia.
Il ministero della Difesa serbo ha escluso un coinvolgimento dell’esercito, ma quanto accaduto è un caso limite di come vengono trattati i migranti. Il Belgrade centre for human rights (Bchr) si è fatto garante per la famiglia curdo-siriana che potrebbe essere la punta dell’iceberg. Da mesi attivisti e ong denunciano la prassi delle deportazioni illegali dalla Serbia verso la Bulgaria o la Macedonia, ma nel caso della famiglia siriana ci sono – forse per la prima volta – tutte le prove delle violenze subite (la registrazione della famiglia da parte delle autorità, il campo che le era stato assegnato, la localizzazione Gps, le testimonianze dei due autisti del pullman e dell’ambulanza).
«Quella famiglia ha subito una deportazione illegale, e se nessuno avesse reagito in fretta sarebbero morti di ipotermia nel giro di qualche ora», denuncia Miodrag di Info-Park. «Non sappiamo se tra le colline e i boschi confinanti con la Bulgaria sono scomparsi dei migranti». A novembre scorso un ragazzo afghano di 18 anni è stato ritrovato assiderato in territorio bulgaro, non si sa se morto in seguito a una deportazione o nel tentativo, fallito, di passare il confine. E sarà difficile individuare le responsabilità di quella morte.
Negli ultimi mesi si sarebbero verificate centinaia di deportazioni illegali di migranti e persino di richiedenti asilo secondo quanto denunciato da attivisti e ong locali. A Nis il 5 novembre un gruppo di 41 richiedenti asilo, incluse famiglie con bambini, munite di documenti per accedere al campo profughi di Tutin, e provenienti da paesi a rischio, sono stati espulsi in Macedonia nonostante l’assenza di accordi di riammissione con Skopje. L’Unhcr ha richiesto chiarimenti al ministero dell’Interno serbo. Sempre a novembre 5 pullman sono partiti dal campo di Subotica, a Nord, non distante dalla frontiera con l’Ungheria, carichi di rifugiati, soprattutto afghani, ma solo tre sono arrivati nel campo di Precevo (sulla frontiera macedone). Dei due mezzi mancanti, secondo quanto testimoniato dai profughi intervistati da Info-Parkl, uno avrebbe lasciato i migranti presso la frontiera con la Macedonia, mentre altri sono stati portati fino a quella con la Bulgaria. Azioni che farebbero pensare a respingimenti. Stessa sorte avrebbero subito anche 150 afghani a ottobre da Shid, città serba al confine con la Croazia, e altri 109 da Precevo, un campo-chiuso che sembra essere il punto di partenza di tutte le deportazioni verso la Macedonia (ogni settimana, macchine a van di polizia carichi porterebbero persone fino al confine). Tornati a Belgrado «tutti i migranti intervistati raccontano la stessa storia: svegliati di notte, caricati in un van della polizia e abbandonati nelle foreste lungo il confine macedone o bulgaro», racconta Miodrag.
La Serbia è l’ultima frontiera prima dell’Ue e finora si era è mostrata molto accogliente nei confronti dei migranti. L’improvviso cambio di atteggiamento la allinea al comportamento dei suoi vicini, da sempre aggressivi verso i rifugiati, che erigono barriere e effettuano pestaggi e respingimenti. L’Unhcr ha più volte denunciato quanto avviene lungo l’ex rotta balcanica, segnalando «un netto incremento delle deportazioni illegali di migranti che cercano a raggiungere l’Europa: circa 1.000 persone dal Medioriente, Asia e Africa espulse solo a novembre, più dei mesi precedenti», dichiara la portavoce dell’Unhcr in Serbia, Mirjana Milenkovska.
I corpi intanto raccontano le violenze subite. Ferite, piedi e gambe rotte, morsi di cani. Un archivio dolente. La clinica mobile che Medici senza frontiere ha allestito nel parco di Belgrado, punto di ritrovo di quanti non riescono ad attraversare le frontiere croata, ungherese, bulgara e macedone, sempre a novembre ha registrato ben casi di 56 traumi. Di questi, denuncia l’organizzazione, «50 sono stati commessi dalle autorità dei paesi confinanti».
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