Matteo Renzi si dimette. Per riprendersi Palazzo Chigi
Le crisi possono essere più o meno drammatiche ma le liturgie bizantine della politica italiana, quelle non cambiano mai e neppure cambiano i giochini tattici che accompagnano quei cerimoniali.Alle 19 di ieri Renzi, dopo aver incassato al Senato con 173 voti una ridicola fiducia sulla legge di bilancio, è salito al Colle per rassegnare le dimissioni e consegnare nelle mani del capo dello Stato, a nome del Pd, una proposta che tutti sanno non avere neppure una possibilità su mille di essere accettata. Renzi rimetterà al Parlamento la scelta tra andare alle elezioni subito dopo il pronunciamento della Corte costituzionale o lasciar proseguire la legislatura. Ma in quest’ultimo caso «la responsabilità deve essere di tutti». La maggioranza deve insomma essere allargata ad altre forze politiche.
Le consultazioni inizieranno oggi alle 18, come da tradizione con i presidenti delle Camere, e finiranno sabato pomeriggio. L’ultima delegazione sarà quella del Pd della quale non farà parte il segretario ma solo il vice Lorenzo Guerini e i capigruppo di camera e senato. Serviranno a sondare in vista del futuro, ma per quanto riguarda la proposta Renzi sarà solo melina. Nessuno risponderà positivamente, come lo stesso Renzi sa perfettamente. La proposta è fatta per essere rifiutata e aprire così le porte alla vera opzione sulla quale punta il dimissionario: restare al posto che già occupa, farsi reincaricare e succedere a se stesso.
Il piano di battaglia lo hanno messo a punto i soliti falchi, capeggiati da Maria Elena Bochi e Luca Lotti, in una cena con altri 23 componenti della guardia di ferro di cui ha dato notizia ieri l’Huffington Post. Perché lasciare il governo, perdendo così il controllo sulla sua durata, rinunciando a gestire la campagna elettorale e magari dovendo pure mollare il sottosegretariato occupato da Lotti proprio quando suona la campana per un cospicuo mazzo di nomine eccellenti? Il solo problema sono i dubbi di Renzi, consapevole, anche se solo in parte, della figura tombale che si accinge a fare dando retta agli stessi strateghi che hanno guidato la guerra del referendum.
Proprio conoscendo i dubbi del capo i congiurati hanno messo in campo una seconda ipotesi: governo amico, anzi più che amico. Dunque né il presidente del senato Grasso, incontrollabile, né Franceschini, che dalle parti del Nazareno una coltellata alle spalle non si nega a nessuno e perché invogliare Dario mettendogli la daga fra le mani? Nel caso la scelta cadrebbe su Paolo Gentiloni, con il fido Lotti inamovibile.
Messa così, però, Renzi preferirebbe giocarsela in prima persona, e non solo per avere la garanzia di poter togliere a piacimento l’’ossigeno al governo. Quel che lo spaventa, ha confessato nei giorni scorsi, è il «cono d’ombra». Lontano dalla ribalta, senza più essere sempre sotto l’occhio delle tv, impossibilitato a rivendicare successi e trionfi. E’ così che ci si fa dimenticare.
C’è una terza considerazione che spinge Renzi a fare il contrario di quanto aveva promesso. Perso il governo dovrebbe fare il segretario a tempo pieno. Non lo sa fare e non lo vuole fare. La tentazione dunque è forte ma alla fine, ieri sera, le controindicazione sembravano prevalere e Renzi pareva orientato verso la candidatura Gentiloni, col mandato rigido di staccare la spina al comando del capo.
Ci sono due ostacoli da superare: il primo è il semaforo verde del Colle. Per il reincarico ci sarebbe certamente una maggioranza intatta. Renzi non era tenuto a dimettersi. La verità è che la sua permanenza a palazzo Chigi farebbe comodo a tutti tranne che a lui stesso. Ma anche con Gentiloni è difficile immaginare che il Quirinale vedrebbe problemi.
Il secondo ostacolo – in entrambi i casi – è meno facilmente sormontabile. Sergio Mattarella non vuole solo un governo in carica fino al pronunciamento della Consulta sull’Italicum. Ha detto chiaramente che vuole una «armonizzazione» tra la legge per la Camera e quella per il Senato. Giorgio Napolitano, già alto protettore del dimissionario e che ieri ha parlato al telefono con il medesimo prima della Direzione Pd, è dello stesso avviso: «Il voto subito è una proposta tecnicamente incomprensibile».
Renzi però insiste sulla corsa a perdifiato e nella sua e-news, postata subito prima della direzione, sfida il capo dello Stato. Se il governo istituzionale verrà bocciato dai partiti d’opposizione, scrive, bisognerà «votare con le attuali leggi elettorali, come modificate dalla Corte». Le basi per uno scontro di prima grandezza ci sono tutte, e non diminuiranno anche se Renzi si rassegnerà a cedere a qualche «amico» il posto. Bisognerà però vedere se i contendenti vorranno fare chiarezza subito o aspettare la sentenza di gennaio della Consulta, come è più probabile. Per ora in testa alla lista di Renzi, infatti, c’è la resa dei conti con la minoranza del Pd e in quella di Mattarella il risolvere il prima possibile la crisi. Al resto si penserà a fine gennaio.
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