Donne. La strategia del dominio
Sarebbero dovuti scendere in piazza gli uomini, quelli che «ma io non sono violento». Oggi invece saranno ancora loro, le donne, a mobilitarsi con una manifestazione nazionale a Roma, risultato di lunghi mesi di preparazione e di lunghi anni di presenza dei Centri antiviolenza attivi in tutto il paese. E’ anche grazie a loro se è cresciuta la condanna sociale del fenomeno, è anche grazie all’informazione se oggi l’opinione pubblica ne prende coscienza facendo sentire le donne meno sole, meno oppresse dal senso di colpa per non aver saputo distinguere la violenza dall’amore.
Ha fatto bene la presidente Boldrini a pubblicare su Facebook quel fiume rabbioso di tanti uomini che si scagliano contro di lei usando, per colpirla, le armi dell’umiliazione sessuale. Così come aiuta la comune battaglia il tweet di papa Francesco per la libertà e la dignità delle donne, a pochi giorni dalla sua lettera sull’aborto. Fa male invece il Movimento5 Stelle che proprio oggi, nella giornata mondiale contro la violenza, ha indetto una sua manifestazione di piazza nella capitale, privilegiando un obiettivo di partito rispetto a una battaglia di civiltà.
Purtroppo le forze politiche e istituzionali restano indietro, assenti o incapaci di capire e proteggere chi trova il coraggio di denunciare. In fondo siamo sempre il paese che fino al 1981 aveva iscritto nel codice il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, che distingueva il «ratto a scopo di libidine» da quello, meno grave, «a scopo di matrimonio». Siamo il paese che rifiuta di legiferare sull’educazione di genere nelle scuole (numerosi disegni di legge dormono nei cassetti) anche se è proprio nei primi anni di vita che i ruoli prendono possesso delle relazioni, con i ragazzi che diventano protagonisti di violenze, anche di gruppo.
Il governo distribuisce miseri fondi ai Centri antiviolenza, strutture che da trent’anni si occupano di assistere le donne, e glieli concede dopo interminabili iter burocratici, costringendoli persino a chiudere. Dovremmo avere, secondo le direttive europee, 5700 posti letto e invece se ne contano appena 700. Né l’attacco alle donne si cancella nelle aule dei tribunali, magari salvandosi la coscienza con il solito inasprimento delle pene, facili da comminare quanto è difficile prevenire, nelle scuole, nella famiglia, nella società.
I numeri sono spaventosi. Il più impressionante di tutti è forse quel 90% di sommerso abbinato al 36% di chi, pur avendo subito la violenza, non la considera un reato. Sono 7 milioni le donne che in Italia hanno conosciuto violenza fisica, 1 milione ha subito o rischiato lo stupro. Le oltre cento donne uccise dall’inizio dell’anno sono dunque la punta di un immenso iceberg che attraversa le fondamenta della società, perché l’uccisione è sì una conclusione estrema ma la violenza, fisica e psicologica, non ha niente di eccezionale, è compagna di vita di milioni di donne.
Il femminicidio è un atto finale, un epilogo tragico a cui si arriva dopo una storia sentimentale, di coppia, familiare. Alla fine la donna capisce il pericolo, si ribella, scatta un meccanismo di difesa di sé e dei figli. Purtroppo succede che la scelta di uscire dall’inferno avvenga troppo tardi, perché nessuno ha visto, nessuno ha dato aiuto. Le uccisioni, pur se un po’ diminuite, sono tuttavia sempre più efferate e brutali (fino a bruciare la vittima come fosse una strega). E questa ferocia della risposta maschile è una reazione scatenata dall’accresciuta consapevolezza delle donne che spiazza la strategia maschile del dominio.
Il maschilismo non è una malattia di qualche bruto, non è il raptus incontrollabile, non è motivato da ragioni sociali. L’uomo uccide per annientare chi non riesce più a possedere. E il possesso, la violenza, lo stupro, fino al delitto sono tutti ingredienti di una cultura che affonda le sue radici nella storia del mondo. Né in greco, né in latino esiste la parola stupro, «stuprum» significava semplicemente «unione sessuale al di fuori del matrimonio». La violenza colpisce nelle società più aperte e democratiche come nei regimi dispotici, nelle culture laiche come in quelle oscurantiste. La macabra fantasia dell’annientamento non conosce limiti. Oggi saremo in tante, unite per combattere l’orrore che circonda la vita di milioni di noi.
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