Goro, la cacciata dei profughi

Goro, la cacciata dei profughi

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GORINO (FERRARA) Alla fine hanno vinto loro. Gli abitanti di Gorino che pur di non accogliere 12 donne rifugiate con i loro bambini hanno alzato barricate e protestato tutta la notte, accendendo i riflettori su questo paesino del Delta del Po. Il prefetto di Ferrara ha deciso il trasferimento del piccolo gruppo di rifugiati nei comuni vicini senza però riuscire a mettere fine alla protesta che è continuata anche ieri. Un episodio che «non fa onore all’Italia» dice il ministro degli Interni Angelino Alfano, mentre la diocesi parla di una «notte che ripugna alla coscienza cristiana».
Strano destino quello dei pescatori di Gorino. Un tempo rischiavano la vita per salvare donne e bambini dalle acque. Ora respingono chi da altre acque, quelle del Mediterraneo, è riuscito a fuggire. Era la notte del 17 novembre del 1951. Il Po aveva rotto gli argini a Occhiobello, tra Ferrara e Rovigo. I pescatori di Goro risalirono la piena con le proprie barche per portare soccorso a chi era in balia dell’alluvione. «Non esitarono, nessuno esitò – raccontava Fidia Gambetti riportando su l’Unità la cronaca di allora -. Per 48 ore almeno e proprio nei momenti della massima piena, migliaia di vite umane dovettero la loro salvezza soltanto all’audacia, allo sprezzo del pericolo, alla perizia instancabile degli uomini che navigavano su codesti gusci di noce». Alcuni persero la vita. Ma «portarono in salvo 320 fra bambini e donne».

Cosa è rimasto di «questo pugno di uomini intrepidi e da sempre dimenticati su un lembo di terra duramente conquistata giorno per giorno»? Difficile stabilire i contorni umani della rumorosa rivolta contro la decisione della prefettura di Ferrara. Difficile anche riportare i commenti che i manifestanti hanno affidato ai taccuini dei cronisti mentre sbarravano l’accesso a quell’ostello dal nome che suona oggi come crudele beffa, «Amore e natura». Eppure se un intero paese scende in strada spontaneamente per negare accoglienza a dodici giovani donne un motivo ci deve essere.

E allora si prova a scavare nella recente storia di questo paesino di 600 abitanti sperduto nel delta del Po. Fino a dieci anni fa i goresi erano forse tra i pescatori più invidiati dell’alto adriatico. La Sacca sembrava un serbatoio inesauribile di vongole. Il prezzo dei molluschi era alle stelle. Poi il mercato si è incrinato. La natura ha fatto la sua parte. Il cuneo salino e l’aumento delle temperature hanno provocato morie di vongole. A questo si aggiunge una selvaggia pesca abusiva notturna. Tutti elementi che hanno messo in ginocchio l’economia locale.

Bastano i motivi finanziari a giustificare quello sbarramento prima umano che materiale? Una domanda destinata qui a restare senza risposta. Certo fa riflettere la denuncia, etica, del prefetto Michele Tortora: «Abbiamo contattato i privati, tutti gli hotel e strutture ricettive della costa e tutti hanno risposto, appena sentito parlare di profughi, che le strutture sono già al completo». Per la cronaca, in ottobre il turismo sui lidi ferraresi è prossimo allo zero.

L’esasperazione verso quello che, inutile nasconderlo, viene visto da buona parte della popolazione come un «pericolo invasione» trova terreno fertile nella destra. La Lega Nord, con l’appoggio di Casa Pound e Forza Nuova, nel capoluogo amministrato dal Pd, ha ottenuto seguito denunciando il degrado e la microcriminalità in zona stazione. A questo si aggiungono inchieste di procura e corte dei conti sui rapporti tra Comune di Ferrara e cooperative che gestiscono l’accoglienza. Tutto utile a far crescere la diffidenza.

Ferrara un tempo era conosciuta come patrimonio Unesco, città d’arte e di cultura, patria d’adozione dell’Ariosto e del Tasso. E negli ultimi anni? Le cronache nazionali la ricordano per il caso Aldrovandi. Per l’assurda fine di Said Belamel, il 29enne morto di freddo dopo una notte in discoteca mentre chiedeva invano aiuto agli automobilisti di passaggio. Per la madre che ritira la figlia dall’asilo dove lavora un’assistente con la sindrome di Down. Per il medico vicepresidente dell’ordine che le dà ragione, perché «i Down devono stare in cucina e non a scuola». Per i commenti sui social di chi brinda al suicidio sotto un treno di un giovane nigeriano. Per l’esponente di FdI che promette di far fuori tanti profughi quanti ne sbarcano. Per un vescovo che augura a Bergoglio di fare la fine di Giovanni Paolo I.

Ah, è vero. Grande spazio è stato riservato anche al «petaloso» nato dal «bell’errore» del piccolo Matteo. Qualcuno una volta chiedeva di restare umani. Sarebbe già molto tornare bambini.

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