Una “gola profonda” sbugiarda Trump “Non pagò le tasse per 18 anni”
NEW YORK. IN UN giallo giornalistico degno di “Tutti gli uomini del (candidato) presidente”, si svela il mistero delle tasse di Donald Trump: non le paga.
ALMENO per quanto riguarda l’imposta federale sul reddito, la cifra è probabilmente zero. Per 18 anni.
Tra gli ingredienti del giallo c’è una “gola profonda” che manda informazioni alla stampa in una busta su carta intestata dal quartier generale del tycoon newyorchese. (Il popolo di Twitter scatena le ironie: è la figlia Ivanka!) E c’è il direttore del New York Times «disposto a finire in carcere » pur di dare ai lettori lo scoop fiscale. Perché i legali di Trump minacciano fuoco e fiamme contro il quotidiano newyorchese, impegnato in una campagna implacabile per mettere a nudo bugie, contraddizioni, irregolarità del 70enne immobiliarista che vuole conquistare la Casa Bianca ma respinge sdegnosamente le richieste di trasparenza.
E’ dall’inizio della campagna elettorale che Trump si rifiuta di divulgare le sue dichiarazioni dei redditi, calpestando una tradizione dei candidati alla Casa Bianca inaugurata da Richard Nixon, anno di grazia 1972. Hillary Clinton glielo ha rinfacciato lunedì scorso al duello in tv, insinuando una possibile ragione: «Cos’hai dai nascondere? Forse che non paghi tasse federali? ». Esatto. Lo scoop del New York Times avalla proprio quella spiegazione. Uno scoop sui generis, perché per mesi è rimasta a mani vuote la squadra di reporter del quotidiano che era a caccia delle dichiarazioni dei redditi del candidato. Poi, pochi giorni fa, qualcuno gli ha spedito per posta ordinaria, in busta di carta, l’ambito trofeo. O almeno una parte, perché ad arrivare in redazione è stata solo la dichiarazione dei redditi del 1995. Roba vecchia, ma lì dentro il New York Times ha trovato un’informazione preziosa, dopo aver verificato l’autenticità del documento col commercialista che lo preparò 21 anni fa. In quell’anno Trump dichiarò perdite così pesanti (quasi 916 milioni di dollari), che spalmandole sugli esercizi fiscali successivi può essere riuscito a non pagare imposte federali sul reddito per 18 anni successivi.
E’ questa la verità imbarazzante che può avere spinto il candidato repubblicano a negare agli elettori le sue informazioni fiscali. Per quanto lui si vanti di essere un uomo d’affari abile, e quindi attento a minimizzare le imposte dovute, scoprire che non ne paga proprio può essere un danno d’immagine. Almeno per quella stragrande maggioranza di contribuenti americani che ogni anno versano il dovuto al fisco, pagando aliquote che arrivano al 39,6% (solo di imposta federale sul reddito, a cui vanno aggiunte le Irpef locali) su redditi molto inferiori a quelli dell’immobiliarista newyorchese.
Lo staff del candidato, di fronte alla richiesta di confermare o smentire la veridicità del documento, non l’ha smentita ma ha detto che «è stato ottenuto in modo illegale ». Un comunicato afferma che «Mr Trump è un uomo d’affari esperto, ha la responsabilità verso la sua azienda, la sua famiglia e i suoi dipendenti di non pagare più tasse del dovuto».
Le minacce di azioni legali non spaventano il direttore del New York Times, Dean Baquet: in un convegno all’università di Harvard il 12 settembre lui si dichiarò «disposto a finire in carcere pur di ottenere quelle dichiarazioni dei redditi e metterle a disposizione degli elettori».
Dal quartier generale di Trump emergono due strategie difensive. La prima sottolinea che il candidato non ha violato la legge: è la normativa fiscale che consente di riportare una grossa perdita su più esercizi successivi, compensando così gli utili degli anni seguenti. Una non-notizia, dunque? Salvo che Trump si spaccia per un gigante del business, ma un imprenditore che non fa utili non è proprio un genio del capitalismo.
L’altro messaggio, più aggressivo, lo anticipò lo stesso Trump rispondendo alle accuse di Hillary: «Sono smart», sono furbo. Conclusione: «Chi meglio di me può riformare un sistema marcio?».
Sui media il coro dei commenti è di tutt’altro segno, la vicenda fiscale viene aggiunta a una serie di gaffe che hanno invertito la tendenza nei sondaggi, tornati a favorire la Clinton.
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