Centro Italia devastato

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AMATRICE (RIETI) L’ospedale l’hanno sgomberato durante la notte. «Inagibile», dice l’infermiere indicando le lunghe crepe che deturpano i muri esterni della struttura. I quindici pazienti che vi erano ricoverati, per lo più anziani del posto, li hanno sistemati nel parcheggio adiacente e adesso aspettano – assistiti da medici e infermieri – avvolti nelle coperte, qualcuno con la cannella dell’ossigeno al naso. Sempre qui arrivano anche i feriti. «Finora ce ne hanno portati una cinquantina», spiega il medico responsabile del pronto soccorso, Gabriele Antonacci.

Alle sette del mattino il parcheggio è un via vai continuo di ambulanze e di barelle. «Signora sente le gambe? Mi risponda: sente le gambe?», chiede con insistenza un infermiere a una donna coperta da un telo termico. «I casi più gravi li trasferiamo all’ospedale di Rieti – prosegue Antonacci – , gli altri riusciamo ancora a gestirli qui».

Amatrice è un paese che non c’è più. Il terremoto ha colpito questo centro del reatino famoso in tutto il mondo per il suo sugo alle 3.36 della notte, solo quattro minuti più tardi rispetto a quanto accadde sette anni fa, quando un altro sisma distrusse l’Aquila e i paesi che la circondavano. Non è l’unica analogia. Quasi lo stesso orario e quasi la stessa intensità mortale della scossa, che la scorsa notte ha fatto registrare ai sismografi una magnitudo 6.0 con epicentro nella vicina Accumuli, facendo sentire i suoi effetti devastanti anche in Abruzzo, Marche e Umbria.

E come all’Aquila, anche in questa zona del reatino, circondata dal parco del Gran Sasso e dai monti della Laga, il sisma non ha avuto clemenza. I primi segni del suo passaggio li vedi percorrendo la strada in salita che introduce ad Amatrice. La corsia di sinistra è in parte franata costringendo i mezzi di soccorso ad arrancare sul lato opposto. Ma è solo quando, girata l’ultima curva, arrivi nel corso del paese, che ti rendi conto di quanto la natura sia stata malvagia. Quella che fino a poche ore prima doveva essere una delle strade principali del paese adesso è solo un cumulo di macerie e polvere. Il paragone più naturale che ti viene alla mente è anche il più scontato: la strada sembra essere stata bombardata. E come quella anche la parallela e tutte le altre che si inerpicano sù fino al municipio mezzo diroccato che si trova di fronte alla piazza in cui c’era il duomo di San Giovanni e ora è solo un buco vuoto che fa paura.

Incamminarsi lungo queste strade è come percorrere una Via Crucis senza fine. A sinistra di via Porta Castello c’è quello che rimane dell’Istituto padre Giovanni Minozzi gestito dalle Ancelle del Sacro Cuore. L’altra notte c’erano sei suore ad assistere otto anziane venute a trascorrere qui gli ultimi giorni di agosto. Suor Maria e suor Giuseppina ce l’hanno fatta e adesso sono ricoverate in ospedale a Rieti, ma suor Cecilia, la vicaria generale, suor Agata e suor Anna sono ancora sotto le macerie insieme a quattro delle otto anziane ospiti. «Le loro stanze erano al piano terra e sopra c’erano le stanze delle altre donne. Quando è crollato tutto queste ultime devono essere finite sopra le prime», spiega suor Mariana, l’ultima che si è salvata. «Sono viva perché i muri della mia stanza non sono caduti», racconta. «Quando ho capito che c’era il terremoto mi sono nascosta sotto il letto e poi una persona è venuta a salvarmi. Abbiamo sentito suor Maria e suor Giuseppina che gridavano aiuto. Siamo tornati indietro e quell’uomo ha salvato anche loro».

Si scava tra le macerie alla disperata ricerca di chi può essere ancora vivo. Chi è sopravvissuto prova a disegnare con le parole planimetrie di case che non esistono più nella speranza di aiutare i vigili del fuoco, i poliziotti, i soldati, chiunque a recuperare un fratello, una moglie o un figlio. «Lì c’era la stanza da letto di mio fratello Federico e di sua moglie Giuliana, sono ancora là sotto. Al piano di sopra invece c’era Iolanda», prova a spiegare un uomo indicando punti nel vuoto. La prova del terrore che deve aver preso tutti gli abitanti al momento della prima scossa è appesa a quello che resta del balcone di una casa. Annodate una all’altra, tre lenzuola pendono giù senza però arrivare a toccare terra, segno di chi vi abitava ha cercato di sfuggire alla morte con la più classica delle evasioni. Un letto di legno, di quelli con il cassettone sotto al posto dei piedi, resiste invece nell’ultimo triangolo di pavimento ancora integro di un’altra abitazione. Le lenzuola rosa fanno pensare che forse ci dormiva una bambina. «Voi siete qui», dice invece un cartello turistico ancora appeso a un muro. La freccia indica un groviglio di fili elettrici calcinacci, povere e un termosifone.

Ogni tanto qualcuno dei soccorritori, pensando di aver sentito una voce o un rumore provenire da sotto le macerie, lancia un urlo: «Fermi, fate silenzio». Allora tutto si blocca. Gli altri soccorritori, chi passa, i giornalisti, persino chi piange trattiene il fiato. Un secondo, due, tre, quattro. A volte l’attesa si traduce in gioia. E’ successo, e allora si battono le mani e si sorride. Altre volte no. In questo caso chi aveva gridato «Fermi» dice solo «Vai», e tutto riprende come prima.

«Negli ultimi trent’anni questo paese ha vissuto altri terremoti e ce l’ha sempre fatta. Questa mattina, però, quando ho visto che anche la porta storica era crollata, ho capito che la situazione era drammatica», dice Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice. Alle quattro del mattino era stato lui ad anticipare quello che gli altri avrebbero scoperto poco dopo: «Amatrice non esiste più», aveva detto disperato ai primi cronisti che lo contattavano.

Tra le situazioni più drammatiche c’è anche quella che riguarda l’Hotel Roma, celebre per essere uno dei posti migliori dove mangiare l’amatriciana. Tra le sue macerie ci sarebbero almeno due vittime, ma secondo alcune testimonianze sarebbero stati almeno 70 gli ospiti presenti la scorsa notte.

Le salme di chi non ce l’ha fatta sono allineate in due scuole, una a nord e una a sud del paese tagliato in due dal sisma. Si aspetta l’arrivo del pubblico ministero per procedere all’identificazione.

Il bilancio è pesantissimo: finora sono almeno 159 le vittime del sisma [bilancio in seguito aggiornato a 247, ndr] molte di queste, tra cui anche un bambino di 11 anni, hanno perso la vita ad Amatrice. Più di mille, invece, gli sfollati. Ieri pomeriggio la Protezione civile ha montato due tendopoli mentre altre persone rimaste senza casa hanno trovato alloggio nel palazzetto sportivo situato davanti al container del Comune trasformato nel quartier generale dei soccorritori.

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