Dal Forum Sociale Mondiale: la dittatura finanziaria e l’Apocalisse che viene
Intervista a Alex Zanotelli, missionario comboniano, a cura di Monica Di Sisto e Alberto Zoratti (Rapporto sui Diritti Globali 2013)
«Dall’alto non c’è più nulla da sperare. La speranza potrà nascere solo dal basso, tramite un’informazione seria e una forte coscientizzazione, che devono portare i cittadini a organizzarsi come nuovi soggetti politici». È quanto ha chiesto la società civile animando la Cupula dos Povos, l’evento parallelo al vertice ONU sullo sviluppo a Rio De Janeiro, vent’anni dopo l prima edizione: «Ritorniamo nei nostri territori, regioni e Paesi per costruire le convergenze necessarie per continuare la lotta, resistendo al sistema capitalista e alle sue vecchie e nuove manifestazioni».
Alex Zanotelli, missionario comboniano, una vita spesa in prima linea nella difesa dei diritti umani e dei beni comuni, prima con i più poveri dei poveri in Africa, successivamente con i movimenti contro le discariche e per l’acqua pubblica alla periferia profonda di Napoli, è da sempre campione e testimone dell’autorganizzazione popolare della resistenza e delle alternative ecologiche e sociali alle derive della globalizzazione. Ha cominciato come campione alla lotta al traffico d’armi, ma seguendo le tracce della criminalità internazionale organizzata, nelle stesse orme ha trovato le impronte degli eco-criminali: trafficanti di rifiuti, creatori e gestori di discariche abusive, ladri d’acqua e di terra. Li ha trovati nel cuore dell’Africa ma anche nel cuore nero dell’Italia, quello dimenticato, escluso, abusato. Per questo, quando parliamo di crisi climatica e di resistenza allo sfruttamento dei beni comuni e dei diritti umani connessi, taglia corto: «Se non si lavora seriamente dal basso, per fare nascere un nuovo modello sociale ed economico alternativo a quello attuale, non abbiamo alcuna speranza di far sì che ogni intervento settoriale di protezione dell’ambiente abbia un qualche successo. Siamo entrati in una nuova fase di appropriazione e di finanziarizzazione dei beni comuni (acqua, aria, energia, terra) che sta mettendo con le spalle al muro ogni forma di democrazia. O ci prepariamo ad affrontare pacificamente ma senza esitazioni questa fase rilanciando un’alternativa concreta, oppure soccomberemo».
Redazione Diritti Globali: Ci incontriamo a Tunisi, in occasione del Forum Sociale Mondiale che per la prima volta, nell’edizione 2013, si è dato uno spazio intero e coordinato dedicato al clima, chiamato Climate space, dove le principali associazioni attive per la sua salvaguardia – Organizzazioni Non Governative, indigene, contadine come La Via Campesina, gli ambientalisti classici, i movimenti urbani e molti altri ancora – si sono confrontate faccia a faccia per arrivare a una visione condivisa, superando i particolarismi in nome di una strategia comune. Che cosa ne pensi e che cosa ti aspetti dal processo avviato a Tunisi?
Alex Zanotelli: Credo che in questa fase sia di capitale importanza superare tutte le frammentazioni, in nome di un obiettivo comune: la salvaguardia del pianeta. Non possiamo dividerci sui singoli interessi, opinioni, visioni, perché i nostri avversari sono più forti di noi, molto più forti, e sono sempre uniti nel nome dei buoni affari. Dobbiamo unirci anche noi, non possiamo esitare. Mi auguro, ad esempio, che si riesca ad arrivare al più presto a tessere, almeno a livello europeo, una rete sull’acqua pubblica che è davvero fondamentale, dobbiamo cominciare a capire che se siamo in una Comunità Europea dobbiamo connetterci anche alla base, almeno all’interno dell’Unione. Il sogno sarebbe di collegare lo spazio Mediterraneo. C’è stato un tentativo non riuscito a Firenze, ma mi auguro che l’energia di Tunisi consacri questo obiettivo. Non sarà facile, ma è cosa importante, questa rete dovrebbe portarci finalmente a raccogliere quel milione di firme che ci permetterebbe di presentare l’ICE, l’iniziativa dei cittadini europei per forzare il Parlamento Europeo ad approvare una legge sull’acqua che dia applicazione alla volontà popolare già espressa in Italia con il referendum. In Italia, però, siamo un po’ indietro con la raccolta delle firme: sembra che gli italiani dopo lo sforzo del referendum ora siano un po’ sfiduciati; devo dire, non senza ragioni, visto il seguito zero dato dalla politica di casa nostra a quel grande referendum.
RDG: L’Africa sembra spesso inerte di fronte all’arroganza e all’ingordigia europea: perché?
AZ: Non dobbiamo dimenticare che il motore della privatizzazione dell’acqua è proprio il Vecchio Continente. In Africa è l’Europa che ha in mano l’acqua ed è per questo che dobbiamo imporre la nostra volontà al Parlamento e a quel punto capire come aiutare i territori sfruttati dalle nostre imprese, Africa in testa, un contesto dove non c’è ancora un forte movimento per l’acqua e che avrebbe bisogno di una scossa in questo senso. Anche a partire da eventi come il Social Forum. Anche sul clima più in generale, ho il presentimento che ancora in Africa non ci siamo: è il continente che pagherà di più a causa del riscaldamento del pianeta. La Banca Mondiale dice che se andiamo avanti di questo passo, a fine secolo l’area mediterranea avrà una temperatura media più alta di sei gradi. In Africa gli scienziati si aspettano otto gradi in più, il che significa, a quel punto, due terzi dell’Africa non saranno più abitabili e la gente sarà obbligata a fuggire. Se aggiungiamo il fatto che quello africano è il continente con la più alta natalità e dove a fine secolo si prevede abiteranno un miliardo e settecentomila persone, il dramma è servito.
RDG: Credi che di fronte agli interessi di mercato non ci sia nessuno che riesca a fermarsi e a marcare il passo?
AZ: La mercificazione dell’umano che sta avvenendo sotto i nostri occhi ha come conseguenza la mercificazione della Madre Terra. Viviamo dentro un sistema che ha come unico scopo il profitto, per cui riduciamo sia le persone sia l’intero pianeta Terra a semplice merce. «Oggi potremo dire che la più significativa divisione tra gli esseri umani», scrive il teologo americano Thomas Berry, «non è basata né su nazionalità né sulla razza, né sulla religione, ma piuttosto è una divisione fra coloro che dedicano la loro vita a sfruttare la Terra in maniera deleteria, distruggendola e coloro che si dedicano a preservarla in tutto il suo splendore». E questo grande teologo aggiunge amaramente: «Moralmente noi abbiamo sviluppato una risposta al suicidio, omicidio, genocidio, ma ora ci troviamo a confrontarci con il biocidio e il geocidio, l’uccisione del pianeta Terra nelle sue strutture vitali e funzionali. Queste opere sono un male maggiore di quanto abbiamo conosciuto fino al presente, male per il quale non abbiamo principi né etici né morali di giudizio».
RDG: Non possiamo, però, più dire di non sapere. Gli eco-scettici o vivono dentro una caverna o sono sul libro paga di qualche impresa, perché gli effetti dei cambiamenti climatici li subiamo ormai ogni giorno, anche in Italia.
AZ: Il biocidio e il geocidio sono oramai sotto i nostri occhi. E la situazione diventa sempre più drammatica. Nel silenzio quasi totale dei grandi media, sia cartacei sia televisivi, che sono nelle mani dei potentati economico-finanziari. È un silenzio voluto e comperato come appare nel libro inchiesta Private Empire del noto giornalista Steve Coll, che dimostra come la Exxon, la più grande compagnia petrolifera, abbia falsificato, finanziando studi e ricerche, i dati scientifici sui cambiamenti climatici.
RDG: Il fatto che tu, come migliaia di altre persone, partecipiate ancora a eventi come il Forum sociale dimostra, però, che continuate a credere nella capacità di cambiamento dal basso che abbiamo nelle nostre mani?
AZ: Questa è la prima volta che partecipo al Forum in veste ufficiale, con il mio ordine missionario. Una scelta fatta perché la nostra azione sia sempre più volta a informare, a sensibilizzare le persone e le associazioni con cui collaboriamo in Africa, cercando di capire come intervenire, ammesso che siamo ancora in tempo. Anche noi, infatti, spesso non ci rendiamo conto della scala delle priorità che dovremmo dare ai temi di cui ci occupiamo. In questa edizione del Forum siamo una trentina di comboniani, sia suore che padri, e siamo qui per condividere con altre realtà una decina di seminari che abbiamo organizzato, per poi riportare all’interno dell’ordine quello che stiamo contattando e capendo qui. Bisogna partire dalla coscientizzazione di base. Se non c’è questo impegno non si riuscirà a cambiare niente.
RDG: Nel 2012 hai partecipato a Rio+20, la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, Rio: l’hai descritta come un’occasione in cui le imprese hanno potuto fare vetrina di alcune delle loro campagne di green washing e poco più. Al Forum Sociale Mondiale di Tunisi, al contrario, le associazioni e i movimenti si sono dati un intero spazio dedicato in esclusiva al clima e a tutte le implicazioni climatiche della crisi e dell’assetto economico-finanziario attuale.
AZ: Rio è stata per me sconcertante, anche a livello della società civile. Buona parte della società civile, ho scoperto, era stata pagata per partecipare dal governo brasiliano. Viaggi e alloggi erano stati coperti economicamente per trasformare questo evento in qualcosa di visibile che andasse nella direzione che anche tu indicavi. Buona parte della presenza proveniva dall’America Latina, e si allineava alle posizioni del governo ospite, fortemente improntato alla crescita, mentre la società civile europea era essenzialmente concentrata sui negoziati, nella zona ricca di Rio, e non ha partecipato granché al controvertice, la cosiddetta Cupola dos Povos. Peraltro, inizialmente si era deciso di non portare il documento elaborato dalla Cupola ai governi; invece, dopo una forte spaccatura interna, il documento è stato consegnato.
RDG: Il documento che a Rio+20 chiedeva dalla Cupola dos Povos ai governi un cambiamento di direzione è rimasto completamente inascoltato?
AZ: Per quanto riguarda il tema dei beni comuni, il documento finale ha esordito dicendo che «la difesa dei beni comuni passa attraverso la garanzia di una serie di diritti socio-ambientali, attraverso il rafforzamento della giustizia ambientale e climatica, e anche attraverso la solidarietà tra i popoli, il rispetto della cosmovisione di popoli diversi e la difesa del Bem Viver come forma di vivere in armonia con la natura». E il documento continua elencando una serie di diritti fondamentali che devono essere rispettati e conclude dicendo che è necessario «pensare un’economia dei beni comuni attraverso un processo costruito dal basso verso l’alto, a partire da esperienze locali: è vitale per i popoli riprendere a decidere sul proprio futuro e la propria economia». Tutto questo è ben presente ai movimenti, per niente ai governi, ed è per questo che mi auguro che il Forum trovi una strategia comune che aiuti a superare le frammentazioni e porti tutti i gruppi a spingere verso una nuova solidarietà globale, attiva, coesa e più efficace.
RDG: Resta il nodo del cambiamento del sistema attuale dell’economia. La green economy può contribuire ad una possibile soluzione?
AZ: Purtroppo non possiamo aspettarci soluzioni dai nostri governi, prigionieri sia dei potentati economico-finanziari sia di quelli agro-industriali, che traggono enormi profitti da questo sistema. Purtroppo la dittatura finanziaria sotto cui viviamo – e il governo Monti ne è stato una splendida esemplificazione – ha deciso di fare della crisi ecologica un altro affare con la cosiddetta green economy (l’economia verde). Ne sono espressione il mercato del carbonio, la produzione agro-forestale per bio-carburanti, la geo-ingegneria che introduce il principio del “diritto di inquinare”. È la finanziarizzazione anche della crisi ecologica. Come abbiamo potuto constatare anche a Rio de Janeiro, la green economy consiste nella diversificazione degli attuali campi d’investimento, nuovi buoni affari e niente più. In Italia e in Europa si continua a voler rispondere alla crisi con la crescita. La campagna elettorale italiana, come tutte le principali politiche promosse dall’Europa, girano intorno alla crescita. Anche tra i poveri, e si vede purtroppo ancora anche nel Forum di Tunisi, il modello rimane questo, anche se ci porta alla morte.
RDG: Sei molto netto: crescere ancora equivale, per la nostra comunità umana, ad estinguersi?
AZ: Ho letto di recente il libro 2052: A Global Forecast for the Next Forty Years di Jorgen Randers. Era ancora un ragazzino quando contribuì a I limiti alla crescita del Club di Roma. Ora, a settant’anni, ha firmato quest’altro volume che è il tentativo di prevedere che cosa succederà nei prossimi quarant’anni. Ha consultato un po’ tutto il mondo scientifico, e il risultato della sua investigazione è terrificante, fa paura. Queste informazioni, però, non passano, si fermano davanti a muri di scetticismo e indifferenza. Qualche giorno fa sono stato nuovamente accusato di allarmismo sociale, a causa delle mie posizioni molto radicali rispetto ai rifiuti. Quando si fanno dei discorsi chiari, si viene criminalizzati, si travisano persino le parole delle Scritture. Se mi chiamano apocalittico neanche si rendono conto che mi fanno un complimento, visto che l’Apocalisse era il testo delle comunità ebraiche che sognavano un mondo nuovo perché non sopportavano più il loro presente. Il ruolo di chi lavora alla base, però, mai come oggi, è proprio quello di far passare un’informazione seria, che dice chiaramente alle persone che se andiamo avanti così andremo incontro alla morte, senza tanti giri di parole, e che dobbiamo a tutti i livelli pensare a un sistema alternativo.
RDG: Che futuro ci aspetta?
AZ: Quando parlo ai giovani chiedo sempre loro perdono perché appartengo ad una generazione, quella nata con la guerra, che, nonostante le centinaia di migliaia di anni di evoluzione come homo sapiens, è arrivata a distruggere e consumare il pianeta come nessun’altra generazione aveva mai fatto in passato. Dico ai giovani: mandate a quel paese chi vi dice che siete il futuro del mondo, perché al momento il futuro non esiste: siete l’unico presente che abbiamo, quindi datevi da fare per conquistarvelo quel futuro che non vi abbiamo dato. La grazia che abbiamo, però, è che nessuna generazione come la loro ha avuto i mezzi tecnici per fare dei salti di qualità incredibili. Se prenderanno davvero in mano la loro vita senza aspettarsi niente se non da loro stessi, e dalla loro capacità di innovazione e di cambiamento comune, forse l’umanità avrà ancora una speranza di futuro.
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