Per una nuova democrazia del cibo

Per una nuova democrazia del cibo

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Intervista a Marco De Ponte a cura di Barbara Antonelli  (dal Rapporto sui Diritti Globali 2014)

Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid, in questa intervista sottolinea come la questione alimentare a livello globale sia densa di paradossi: la produzione di cibo a livello mondiale sarebbe più che sufficiente a sfamare tutti, invece 842 milioni di persone patiscono la fame, mentre, all’opposto, un miliardo e mezzo sviluppano patologie per eccesso di cibo e ogni anno viene sprecato un terzo degli alimenti prodotti. Di fronte a questo sistema che crea profonde disuguaglianze sociali, sottoposto com’è alla speculazione finanziaria e al potere delle grandi corporation e della grande distribuzione organizzata, per Marco De Ponte occorre cambiare in radice il modello di produzione, distribuzione e consumo alimentare e, prima ancora, riaffermare il diritto di tutti ad avere accesso al cibo.

Consumo consapevole e lotta allo spreco riguardano anche l’Italia, dove ActionAid ha promosso l’iniziativa “Io mangio giusto” rivolta alla ristorazione collettiva e alle scuole.

 

Redazione Diritti Globali: ActionAid è un’organizzazione internazionale, presente in oltre 50 Paesi, impegnata nella lotta alla povertà e alle disuguaglianze. Le statistiche internazionali dicono che ancora oggi, nonostante i mezzi e le risorse, una persona su otto soffre la fame. Allo stesso tempo c’è chi soffre di eccesso di cibo e chi addirittura il cibo lo spreca. Quali contraddizioni e problematiche si legano alla negazione dell’accesso al cibo come diritto per tutti?

Marco De Ponte: È vero: i dati degli organismi internazionali confermano che al mondo viene prodotto cibo sufficiente a sfamare molte più persone di quelle che lo abitano. Eppure 842 milioni di uomini, donne e bambini soffrono ogni giorno di fame cronica. Dati che si scontrano con altre facce di una stessa medaglia: 1,5 miliardi di persone al mondo soffrono per “eccesso di cibo”e 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, un terzo di quello prodotto nel mondo e destinato al consumo umano, sono sprecate ogni anno. Fenomeni che non risparmiano nemmeno i Paesi poveri o quelli emergenti. Il sistema alimentare globale sarebbe in grado di garantire un adeguato apporto nutrizionale a tutti gli esseri del pianeta, ma questo non avviene. E anzi genera forti paradossi, a ogni latitudine geografica.

È paradossale, per esempio, che circa tre quarti delle persone che soffrono la fame vive laddove il cibo si produce: numerosi Paesi, nonostante la loro significativa importanza nella produzione agricola mondiale, presentano alte percentuali di popolazione denutrita e anzi il 75 per cento dei Paesi che presentano fenomeni di denutrizione sono esportatori di cibo. Un esempio è l’India, che pur avendo 238 milioni di persone denutrite, nel 2000 ha destinato all’esportazione ben 60 milioni di tonnellate di cereali prodotti nel Paese. Inoltre, la crescita economica di alcuni Paesi poveri non si è automaticamente tradotta in una riduzione del problema malnutrizione/sottonutrizione. Negli ultimi anni, per esempio, gran parte dell’Asia ha visto aumentare il PIL di diversi Paesi con tassi superiori al 7 per cento, eppure questa maggiore ricchezza non sempre ha dato origine a un miglior accesso a un’alimentazione di qualità. Un altro paradosso che interessa il mondo globalizzato, e con problematiche diverse, da Paese a Paese, compresi quelli poveri è lo spreco alimentare.

Quindi, ripeto, non è una questione di quantità. Anche la filiera con cui il cibo viene prodotto, i modi e i luoghi di produzione, distribuzione e consumo, sono fondamentali. Siamo di fronte a un sistema alimentare globale che crea disuguaglianze sociali: bisogna quindi cambiare radicalmente il modello di produzione, distribuzione e consumo del cibo e riaffermare il diritto di tutti, uomini, donne e bambini ad avere accesso al cibo, in qualità e quantità. Una vera e propria nuova democrazia del cibo.

 

RDG: È quindi una questione di modello: quello attuale come può essere modificato? E quali strategie e buone pratiche possono essere messe in campo dal locale al globale, dal punto di vista di ActionAid?

MDP: La questione dell’accesso al cibo è sicuramente un fenomeno complesso e multidimensionale che mette in gioco diversi fattori: la finanziarizzazione del cibo, le politiche adottate a livello globale nell’ultimo decennio, il cambiamento climatico, usi alternativi del terreno agricolo rispetto alla produzione di beni alimentari. La soluzione del problema non può essere limitata all’aumento della produttività agricola, che è piuttosto solo un aspetto di un quadro più complesso per la lotta alla povertà.

Vanno analizzati, e modificati, altri aspetti; il sistema agroalimentare attuale, cioè il modo in cui si produce, distribuisce e consuma il cibo sul pianeta, è un sistema fragile e ingiusto, colpevole di aver dato origine a diverse disfunzioni: un’economia in cui i prezzi crescono a livello globale, con impatti che non sono uguali per tutti e il consolidamento dei grandi gruppi agricoli e alimentari, creando un mercato che scoraggia l’autosufficienza. Il mercato attuale del cibo di fatto non risponde più all’esigenza di garantire a tutte le persone il diritto al cibo, in qualità e quantità; piuttosto a logiche imposte dalle grandi corporation del settore e dalle multinazionali della Grande Distribuzione Organizzata (GDO).

Noi pensiamo che un riequilibrio del sistema possa avvenire solo se si riduce la distanza tra le persone e se si riducono le distanze tra le diverse fasi di produzione. Ora, infatti, la ricchezza è fortemente concentrata lungo la filiera e i produttori e i consumatori, numericamente la stragrande maggioranza degli attori del sistema alimentare, non decidono. I primi perché stretti nelle regole inique di un mercato che avvantaggia le grandi corporation sementiere di commercializzazione, trasformazione e distribuzione; i secondi perché con l’avvento dei supermercati e del cibo industriale hanno adottato un modello di consumo caratterizzato dalla standardizzazione e da un progressivo abbassamento della qualità dei cibi consumati.

La sfida di oggi è quella di costruire una nuova democrazia del cibo, dove a dominare non sia più solo il mercato ma anche i consumatori, non solo attraverso il consumo ma con una domanda politica che metta in discussione il modello prevalente. Democratizzare il sistema alimentare significa promuovere la partecipazione effettiva di tutti gli attori di un sistema agroalimentare alla definizione del suo funzionamento. E questo comporta la costruzione di economie del cibo locali. Affinché l’agricoltura torni a svolgere la sua funzione primaria, cioè garantire un’alimentazione adeguata a tutte le persone del mondo, è necessario promuovere un modello agricolo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale, cioè sistemi locali socialmente sostenibili.

ActionAid, nella sua azione nel Sud del mondo, promuove i sistemi locali di cibo con queste caratteristiche, poiché hanno un effetto concreto nella lotta alla fame. Sostenere i piccoli agricoltori è fondamentale, in primo luogo nell’aiutarli a vedersi riconoscere il diritto di accesso alla terra e quindi al cibo.

 

RDG: Si può lavorare a una “nuova democrazia” del cibo e a un sistema locale anche in Italia? E con quali metodologie e strumenti?

MDP: Lavorare per una “democrazia del cibo” nel nostro Paese significa ripensare le regole, le pratiche e le politiche del settore agroalimentare. Per un’organizzazione come ActionAid, l’innovazione istituzionale e l’educazione sono i contesti più affini e coerenti, con le attività che sono perseguite in altri ambiti.

Con la nostra azione sui sistemi alimentari locali sostenibili non abbiamo l’obiettivo di sfamare persone che soffrono la fame, come invece facciamo nel Sud del mondo. La nostra azione, però, ambisce a rendere disponibile cibo di qualità anche a fasce meno abbienti, e la promozione di un modello alimentare che, se applicato su scala mondiale, potrebbe concretamente fare la differenza nella lotta alla fame. La costruzione di sistemi locali di cibo implica la realizzazione di una rete di produttori e consumatori a livello locale che supporta un modello agroalimentare sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale, partecipando in modo attivo alla definizione delle politiche di sviluppo locali; tra cui le scelte di destinazione di uso delle terre, le politiche di produzione, trasformazione e distribuzione, e la crescita di responsabilità, condivisa tra istituzioni e individui, per ridurre gli sprechi alimentari, soprattutto nel consumo privato e nella ristorazione privata e collettiva. Siamo convinti che la diffusione e il consolidamento di sistemi locali di cibo sia il passo necessario a raggiungere in futuro una trasformazione nelle macro-politiche sul cibo.

Lo spazio di azione è enorme: noi abbiamo deciso di lavorare sulla ristorazione collettiva e in particolare scolastica. ActionAid si sta orientando verso il tema della ristorazione collettiva sostenibile, come strumento di sostegno e promozione di sistemi locali alimentari, sviluppando buone pratiche. Per questo abbiamo avviato l’iniziativa “Io mangio giusto”: un’iniziativa che vuole centrare l’attenzione su un punto nevralgico del sistema educativo-informativo, quello del diritto ad un’alimentazione corretta per tutti; c’è però anche un obiettivo di più lungo termine, che è quello di un vero cambiamento del sistema di produzione agroalimentare a livello nazionale e internazionale.

 

RDG: Perché avete scelto la scuola per iniziare a parlare di sistemi di cibo locali? Quanto sono importanti le mense scolastiche in ottica di cambiamento?

MDP: La scuola offre un contesto dove le dimensioni educative e formative sono centrali in ogni attività e nel quale le scelte individuali si sviluppano in un contesto sociale, collettivo e pubblico. Per ActionAid migliorare la ristorazione scolastica è un’occasione da non perdere, perché consente di agire su più fronti: stimola le istituzioni a promuovere il diritto a un cibo sostenibile; consente di lavorare con le famiglie, gli insegnanti e i bambini, per far in modo che scelgano un’alimentazione più sana e con un consumo consapevole.

I numeri poi ci danno ragione, sulla scelta intrapresa. A livello nazionale il 50% dei bambini con meno di 14 anni usufruisce della refezione scolastica e in media ogni alunno, nel suo ciclo scolastico obbligatorio, consuma circa 2.000 pasti a scuola, a cui vanno aggiunte le merende, fornite sempre dalle scuole. Si stima che a scuola vengano consumati 380 milioni di pasti all’anno: oltre 2 milioni di pasti per ogni giorno di scuola; il fatturato è di circa 1,3 miliardi di euro annui: in termini di fornitura di cibo si tratta dunque di volumi importanti, una domanda che può incidere in modo significativo sui sistemi di produzione e consumo, orientandoli verso una maggiore sostenibilità. Iniziare a parlare di sostenibilità partendo proprio dalle scuole significa costruire una nuova generazione di consumatori consapevoli, che decideranno di alimentarsi in modo sano e allo stesso tempo saranno più propensi a promuovere sistemi agroalimentari sostenibili in cui la catena di attività connesse alla produzione, trasformazione, distribuzione e consumo di cibo – nonché alla gestione dei rifiuti – rispetti criteri sociali culturali e ambientali.

 

RDG: Quali caratteristiche deve avere una mensa giusta, per ActionAid?

MDP: Perché una mensa diventi un modello di dieta sostenibile deve promuovere l’incontro tra produzioni di qualità e consumo consapevole: non basta suggerire “alcune cose utili da fare” per mangiare un cibo “giusto”, ma è opportuno comprendere le interdipendenze tra come si produce, come si mangia e come si trattano gli scarti. Il nostro traguardo è far diventare più giuste le mense di almeno 60 scuole e di far conoscere la mensa giusta ad almeno 40.000 bambini e alle loro famiglie.

Per ActionAid sono cinque le priorità per avere mense “giuste” in tutta Italia. Prima di tutto, una mensa con alimenti locali e sani per i cittadini, i produttori e l’ambiente. Una mensa, cioè, dove trovare prodotti a basso impatto ambientale (biologici o da agricoltura integrata), senza OGM, stagionali e, dove possibile, prodotti localmente in modo da ridurre il numero di passaggi tra produttore e consumatore e valorizzare il legame tra cibo e territorio. Il cibo che proviene dai Paesi in via di sviluppo dovrebbe inoltre essere prodotto in filiere di commercio equo e solidale, a garanzia dei criteri produttivi di giustizia sociale, economica e ambientale.

In seconda battuta, una mensa che rispetta i lavoratori, l’ambiente e i consumatori. I fornitori dei pasti nelle mense dovrebbero operare nel rispetto dell’ambiente e con principi ispirati alla responsabilità sociale di impresa; l’acqua somministrata dovrebbe essere pubblica e non imbottigliata e si dovrebbe puntare ad avere un servizio sostenibile per quanto riguarda i consumi energetici (nell’uso di stoviglie ecologiche, nella produzione e nel trasporto).

Il terzo punto nella nostra mensa “giusta” vede il coinvolgimento, con un ruolo da protagonisti, di genitori e bambini. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso le commissioni mensa, che dovrebbero essere ovunque attive e funzionanti e aperte alla partecipazione anche dei bambini, che per primi usufruiscono del servizio. Scuole e amministrazioni potrebbero, poi, proporre attività per un corretto funzionamento delle commissioni mensa, il cui ruolo può essere ampliato nella definizione dei criteri da inserire nei capitolati e può estendersi verso ruoli educativi e di monitoraggio civico. Crediamo fondamentale il ruolo delle commissioni mensa e vogliamo che sempre più famiglie si attivino per farne parte. Attualmente, infatti, sono diffuse in particolare nelle Regioni del Centro-Nord del Paese e in molti comuni sotto i 10.000 abitanti. Noi vorremmo invece che siano ovunque attive e funzionanti e che siano partecipi non solo rispetto alla qualità del cibo, ma anche rispetto a una scelta dei fornitori che produca anche la diminuzione dei rifiuti

Altro nodo fondamentale è riuscire a ottenere una mensa trasparente per bambini e genitori. I Comuni dovranno essere promotori di gare d’appalto per l’affidamento dei servizi di ristorazione trasparenti; essere guidati nella scelta da una valutazione dei costi complessivi del servizio e non solo dal prezzo; agire affinché siano resi comprensibili e comparabili i costi del servizio e stimolare la partecipazione dei cittadini (in particolare dei genitori e del personale scolastico) alla definizione dei capitolati d’appalto in un’ottica di trasparenza e partecipazione.

Occorre, infine, giungere a una mensa che riduca gli sprechi e i rifiuti. Chiediamo che bambini, personale scolastico, aziende fornitrici del servizio e amministratori locali siano alleati nel promuovere pratiche di prevenzione e riduzione degli sprechi e dei rifiuti. Non esistono dati nazionali sugli sprechi alimentari nelle mense scolastiche, ma, secondo alcune rilevazioni, circa il 10% dei pasti serviti (pari a 87 mila tonnellate di cibo) sono eccedenze, delle quali l’85% è totalmente sprecato. Sono infatti 74 mila le tonnellate di cibo della ristorazione collettiva che ogni anno finiscono nella spazzatura. Mentre sulla richiesta di raccolta differenziata c’è ormai una certa omogeneità territoriale, ancora indietro restano le pratiche di recupero del cibo non somministrato per organizzazioni che effettuano distribuzione gratuita di prodotti alimentari e ancora lontana è la prospettiva di compostaggio dei residui organici o di uso di materiale biodegradabile. Tra l’altro, ridurre gli sprechi consentirebbe anche di puntare di più sulla qualità del cibo, ad esempio preferendo il biologico. Visto che il costo della componente cibo in un pasto scolastico è di circa 1/3 del costo totale del pasto, si può lavorare sulle altre componenti che fanno il prezzo. Per esempio ridurre i costi energetici (consumo di acqua e trasporti) oppure modificare i menù, preferendo meno carne e di migliore qualità e maggiori proteine vegetali.

Noi siamo un’organizzazione impegnata nel chiarire come l’accesso al cibo debba essere un diritto per tutti: parlare di diritto al cibo in Italia, significa sviluppare maggior consapevolezza e promuovere la partecipazione dei consumatori, produttori e istituzioni alla definizione e realizzazione di sistema agro-alimentare più giusto.



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