Berlinguer-Santoro, la striscia riparatrice

Berlinguer-Santoro, la striscia riparatrice

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Alla fine è proprio Bianca Berlinguer, considerata dal governo peggio di un insidioso avversario politico, a togliere le castagne dal fuoco al cda. Le nomine agostane ai Tg Rai sono state l’ennesimo pasticcio comunicativo del governo Renzi. Il direttore generale Campo Dall’Orto e la presidente Maggioni sono riusciti a far universalmente identificare Bianca Berlinguer come il vero obiettivo del giro delle poltrone. Senza però trovare una nuova collocazione per lei, rischiando di rinfocolare la polemica della settimana prima, e cioè quella degli inattivi di lusso in Rai. La direttrice uscente, che oggi si congederà dal pubblico del Tg3, guadagna l’invidiabile cifra di 270 mila euro lordi l’anno. Il dg le aveva proposto la conduzione di una striscia alle 18 e 30, fascia difficile dagli ascolti scarsi, tranne che per qualche mese invernale. La giornalista era perplessa. Ma alla fine lei stessa ha chiamato l’amico Michele Santoro e gli ha chiesto di firmare il programma. Santoro ha detto sì e ha messo a disposizione la sua «factory», cioè il suo gruppo di collaboratori che fornirà servizi e documentari. La trasmissione andrà in onda dal lunedì al venerdì, e da febbraio dovrebbe avere una o due serate di prime time. Dunque alla fine della giostra, in tv si materializza un programma «girotondo» anti Renzi? Potrebbe essere. Tant’è che Campo Dall’Orto ha provato fino all’ultimo a convincere la direttrice uscente di attaccare a novembre, con il nuovo programma. Magari a referendum celebrato.

Ieri mattina come da copione il consiglio di amministrazione Rai ha varato le nomine. Il direttore del Tg1 Mario Orfeo resta al suo posto (quello del 61 per cento al sì al referendum con il 37 al no). Al Tg2 approda Ida Colucci, al Tg3 Luca Mazzà, che un anno fa era andato via dal programma Ballarò perché (secondo le voci) troppo antirenziano. Andrea Montanari al Giornale Radio, professionista molto stimato (anche a sinistra) e Nicoletta Manzione a Rai Parlamento. Anche i consiglieri di area Pd hanno masticato amaro. Ma hanno votato sì: per Franco Siddi, ex segretario della Federazione nazionale della stampa «era doveroso per evitare una crisi alla Rai e per non lasciare redazione importanti con direzioni depotenziate». Finisce 6 a 3. Votano no Carlo Freccero, Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca.
I tre consiglieri alla fine sono gli unici che provano davvero a fare fronte contro le nomine. Perché le opposizioni del parlamento, che pure avevano fatto un gran can can contro l’imminente «blitz agostano» «epurativo», la costituzione del «fronte del sì al referendum costituzionale» e via scendendo, alla prova della commissione Vigilanza si perdono per strada.
Il presidente a 5 stelle Roberto Fico accetta di portare avanti la seduta anche se l’ordine del giorno non è rispettato: gli onorevoli dovevano discutere il piano dell’informazione, ma il piano non c’era perché a mercoledì sera il cda non aveva fatto in tempo a votarlo. La sinistra Pd prova a presentare un documento di censura che però il presidente Fico non ammette per un vizio di formulazione. Finisce che Miguel Gotor e Federico Fornaro si dimettono denunciando «l’assenza di un nuovo progetto sull’informazione dell’azienda» con nomine che rispondono «a logiche di occupazione governativa del servizio pubblico, in forme per molti versi inedite e in contrasto con il principio costituzionale del pluralismo culturale e politico», e per di più «alla vigilia di importanti scadenze politiche e istituzionali». Maurizio Gasparri si azzuffa con la presidente Rai Monica Maggioni. Renato Brunetta la ’boccia’ come studente.

I 5 stelle stelle tuonano, ma più la mattina successiva che nel corso della notte in Vigilanza: il governo «militarizza l’informazione in vista della campagna referendaria», ma i pentastellati si augurano che «i nuovi direttori facciano al meglio il proprio lavoro garantendo il pluralismo. Esattamente come non hanno fatto per anni direttori piazzati dai vari governi che si sono succeduti, e come non ha fatto finora il direttore del Tg1».
Ma i 5 stelle prendono anche le distanze dalla minoranza Pd e da Gasparri e Brunetta: sono «lottizzatori seriali», «oggi attaccano le scelte di Campo Dall’Orto perché volevano una fetta di torta».

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