Dall’assedio a Sirte all’avanzata in Iraq così l’Is perde terreno
QUELLI della 166esima Katiba di Misurata sono sicuri di espugnare nelle prossime ore il centro di Sirte, dove sono asserragliati gli ultimi combattenti dello “stato islamico” nella città libica. Se il pronostico dei comandanti della brigata impegnata nell’assedio risulterà esatto, il più importante e inquietante caposaldo jihadista affacciato sul Mediterraneo meridionale sarà estirpato. E la scomparsa di quel nido di terroristi, proprio di fronte alle nostre coste, significherà anche un’angoscia di meno. L’operazione in corso da giorni è costata centodieci morti e cinquecento feriti agli attaccanti. L’offensiva è stata rapida ed efficace nonostante l’estensione del territorio su cui si è svolta. A renderla tale hanno senz’altro contribuito il commando degli inglesi e americani.
CIRCA trenta uomini, impegnati nella logistica, nelle comunicazioni e nell’intelligence. E determinante è stato l’appoggio dell’aviazione americana.
I jihadisti occupavano più di centocinquanta miglia di litorale, ridotte in breve tempo, durante l’offensiva, a quaranta per la scarsa resistenza degli assediati. La battaglia si è poi limitata alla costa che delimita il Golfo della Sirte. E infine al cuore dell’abitato. Alcuni kamikaze si sono fatti esplodere affrontando i soldati libici; ma non pochi militanti di Daesh (lo Stato Islamico), hanno soprattutto cercato di disperdersi tra la popolazione, dopo essersi tagliati la barba che li distingueva. Molti erano tunisini, siriani, afgani o erano arrivati dall’Africa subsahariana. Secondo il Pentagono lo “Stato Islamico” avrebbe seimilacinquecento uomini in Libia, mentre i calcoli di altre intelligence riducono il numero a tremila, dei quali più della metà a Sirte.
Stando alle informazioni fornite da Mohammed al-Ghassri, portavoce delle autorità di Misurata, i jihadisti occuperebbero ormai soltanto il groviglio di vicoli, nel cuore della città, dove è cresciuto e dove è stato ucciso Gheddafi nell’ottobre del 2011. Da quella costa, tra breve sotto il controllo del Governo di concordia nazionale (GNA) di Fayez Al Serraj, riconosciuto dall’Onu e dagli occidentali, salpavano alcune imbarcazioni cariche di migranti, provenienti dall’Africa subsahariana. Se Sirte sarà completamente liberata, il flusso umano in partenza dalla Libia potrà essere, almeno in parte, disciplinato.
Gli uomini della 166esima Katiba di Misurata furono cacciati dalla città nel maggio dell’anno scorso dopo una resistenza non troppo impegnativa. Adesso si stanno prendendo la rivincita. Nei quartieri già sotto il loro controllo demoliscono i pannelli pubblicitari in metallo ai quali sono stati inchiodati, crocifissi, i cadaveri di quarantanove impiccati perché sospetti agli occhi dei militanti di Daesh. La caccia ai jihadisti, che tagliatasi la barba si sono dispersi nella popolazione, è subito cominciata. Nell’ultimo anno sono stati tutti schedati.
La perdita del principale caposaldo sulla costa meridionale del Mediterraneo è un severo colpo per il Califfato terrorista. Doveva essere una base permanente e si è rivelata fragile. Più fragile di quel che immaginavano gli stessi attaccanti. Le perdite territoriali quasi simultanee in Iraq, in Siria e in Libia, spingono molti a parlare di un declino dello “Stato Islamico” . I più prudenti si guardano tuttavia dal condividere questo giudizio. Per loro sta entrando in una “nuova fase”. Continuano infatti ad affluire volontari, che sembrano destinati ad alimentare un terrorismo su vasta scala nei loro paesi d’origine. Se le perdite territoriali, anche in Siria, in Iraq e in Libia, significano un calo dei proventi del petrolio, la compensazione avviene con una più severa tassazione degli abitanti nelle zone ancora sotto controllo. Ed anche con la vendita delle opere d’arte. In sostanza le sconfitte sul terreno dovrebbero provocare una più intensa azione terroristica.
In Iraq la divisione d’élite che in due anni, smentendo la denunciata inefficienza dell’esercito iracheno, ha strappato allo “Stato Islamico” le città di Tikrit, Hit, Rutba, Ramadi, ed altre ancora, è in questi giorni impegnata a Falluja. E si tratta di una roccaforte sunnita dalla quale i marines americani cacciarono con fatica, e al prezzo di non pochi morti, una delle prime innaturali alleanze tra i fanatici terroristi religiosi, ispirati dallo spietato Sharqaui, e gli ufficiali laici di Saddam Hussein. Falluja è da tempo in mano allo “Stato Islamico”, sostenuto dalla popolazione locale, sunnita, non del tutto a torto in preda alla paura per le rappresaglie delle milizie sciite. Le forze irachene antiterroriste avanzano metro dopo metro per conquistare la città e sarebbero sul punto di riuscirci. Per lo “Stato Islamico” sarà una dura sconfitta. L’assedio di Mosul, la più grande città in mano ai jiadisti, sarà la prossima dura prova.
Nel frattempo in Siria l’esercito di Bashar el Assad, appoggiato dall’aviazione russa, si avvicina a Raqqa. La conquista di quella che èconsiderata la capitale dello “Stato Islamico” servirebbe al rais di Damasco. Lui cerca di riabilitarsi agli occhi delle capitali occidentali, che non lo vedono come un alleato accettabile, giudicandolo colpevole di crimini contro il proprio popolo. Sempre in Siria i movimenti ribelli, riconosciuti dagli occidentali, hanno inflitto un severo colpo allo “Stato Islamico” interrompendo ogni comunicazione tra il territorio sotto il suo controllo nella zona d’Aleppo e la frontiera turca. Le ripetute perdite territoriali rendono sempre meno realizzabile il progetto di un ampio Califfato nella valle del Tigri e dell’Eufrate. La realtà non deve sfuggire neppure a chi ha lanciato e alimentato l’idea. Resta la soluzione di un futuro “Stato Islamico” senza terra, che non suscita meno inquietudine.
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