Milano, sfida apertissima all’ultimo voto tra i due maganer fotocopia
Tutto come previsto, il primo tempo non ha riservato sorprese. Milano deciderà al ballottaggio. Beppe Sala è avanti, con una forbice percentuale che a urne appena chiuse attribuisce al candidato del centrosinistra un gradimento intorno al 44% degli elettori. Lo sfidante, Stefano Parisi, sarebbe indietro ma non troppo con il 37% circa dei voti. Sono quattro o cinque punti percentuali di distanza, troppo poco per decidere la partita.
Il clima è piuttosto disteso da una parte e dell’altra. Stefano Parisi, che ieri notte impazzava su tutte le televisioni, ha voluto commentare a caldo senza troppo scomporsi: «C’è stato un recupero, in pochi mesi abbiamo fatto un buon lavoro. Molti milanesi scontenti non hanno voluto confermare la giunta Pisapia. La partita è aperta, sono molto contento di questo risultato». Dello stesso avviso anche Franco Mirabelli (Pd), con una dichiarazione-fotocopia: «Questo risultato ci conferma l’ottimismo, c’è una partita aperta, andremo al ballottaggio». Ma nel quartier generale del centrosinistra, dopo le prime videate, non c’era una aria troppo allegra. Probabilmente si aspettavano qualcosa di più.
In ogni caso il secondo tempo sarà un match completamente diverso, perché il 19 giugno ci sono troppi voti in libertà che è quasi impossibile collocare da una parte o dall’altra. Senza contare l’affluenza alle urne che è destinata a calare ulteriormente, consegnando alla città un sindaco eletto per la prima volta da poco più di metà dei cittadini milanesi. Ragionare sugli exit poll è un esercizio che lascia ampio margine agli errori, ma c’è un dato incontrovertibile che dice la distanza per certi versi clamorosa dei milanesi dalla politica cittadina nonostante cinque anni di giunta Pisapia attorno cui si è costruita una narrazione virtuosa che non ha retto alla prova decisiva del voto. Sei mesi di ininterrotta campagna elettorale (senza contare che è da più di un anno che Pisapia ha annunciato il suo ritiro) hanno portato al voto appena il 55% dei cittadini. Il mimino storico per una elezione milanese. Cinque anni fa, nel 2011, al primo turno andò a votare il 67,56% degli aventi diritto al voto (gli stessi di cinque anni prima quando Letizia Moratti sconfisse il prefetto Bruno Ferrante). Se questo dato dovesse essere confermato, la cosiddetta «rivoluzione arancione» – e un centrodestra in disarmo resuscitato da un buon candidato – hanno perso per strada il 12% di elettorato.
L’emorragia è destinata a peggiorare per motivi di carattere “strutturale” (tra due settimane aumenteranno i vacanzieri) e per altri più squisitamente politici. Si chiama astensione consapevole. Molti osservatori sostengono che saranno gli elettori delusi di sinistra a presentare il conto alla coalizione che ha scelto un manager per sostituire Giuliano Pisapia. Ieri di fatto si decideva solo la composizione del consiglio comunale, il sindaco, lo sapevano tutti, si sceglierà solo tra due settimane. E il 19 giugno si capirà il gradimento – o il rifiuto – dei milanesi per i due candidati manager. Importante è capire chi non è andato a votare, come sempre, ma questa volta sarà ancora più importante capire chi non andrà a votare al secondo turno. Tutti sanno che una buona parte degli elettori di sinistra sinistra (lista Basilio Rizzo, accreditata tra il 3 e il 5%) non punterà mai sull’ex manager di Expo: e saranno due settimane di corteggiamenti, risse e reciproche accuse di tradimento.
C’è poi un “tesoretto” percentuale piuttosto consistente (Cinque Stelle: exit poll tra 8 e 12%) che in teoria potrebbe cambiare l’esito delle elezioni. Non è difficile prevedere che in queste due settimane sia Sala che Parisi faranno gli occhi dolci ai “populisti dell’antipolitica”. Il candidato Gianluca Corrado non cederà di un millimetro e predicherà l’astensione (cosa che farà crollare la percentuale di votanti), ma sulla scelta dell’elettorato grillino al ballottaggio potrebbe anche pesare lo scontro durissimo che si annuncia tra Matteo Renzi e i 5 Stelle. Se una parte dell’elettorato a cinque stelle dovesse votare a Milano per punire il Pd nazionale, per Beppe Sala potrebbero essere guai molto ma molto seri.
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