La sinistra alla prova del cinque

La sinistra alla prova del cinque

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Le città d’abord. A poche ore dal primo turno delle elezioni amministrative non c’è nessuno che non reciti il mantra scaramantico e politicamente corretto: il voto riguarda i sindaci, nessun riflesso sul piano nazionale. Lo ha ripetuto il presidente-segretario venerdì scorso. Sono cose che si dicono: ma è chiaro che se il 19 giugno al Pd andasse storto qualcosa a Milano, improbabile, oppure a Roma, possibile, la marcia dell’invincibile armata renziana verso il referendum di ottobre rallenterebbe.
Alla sinistra del Pd la posta non è meno alta. Nelle città la neonata Sinistra italiana non ha schierato il suo simbolo, provvisorio e nemmeno bello. Sel, il suo principale partito di origine, è sospesa: il tesseramento è chiuso, il congresso di scioglimento sarà a dicembre in concomitanza con quello di nascita di Si, il suo presidente Nichi Vendola ha fatto un passo indietro per godersi la paternità, dall’altra parte dell’oceano, ed ha passato il testimone un giovane gruppo dirigente che non riesce a «fare sintesi» fra anime diverse. Vendola rientrerà in Italia fra qualche settimana, ma è difficile che tornerà sulla plancia di una barca dalla rotta incerta.

Sinistra italiana ha promosso liste unitarie dov’è stato possibile. Ma nelle principali città il risultato è un fritto misto di modelli coalizionali: a Milano Sel corre con il Pd di Beppe Sala, ma alcuni esponenti sono finiti nella lista concorrente Milano in Comune del candidato Basilio Rizzo; a Torino tutta la sinistra sostiene Giorgio Airaudo contro Piero Fassino; a Bologna appoggia Federico Martelloni ma alcuni esponenti sono schierati con l’uscente ricandidato Virginio Merola; a Roma la sinistra si è riunita a sostegno di Stefano Fassina solo dopo una travagliata campagna elettorale, fatta di colpi di scena come l’esclusione dalla corsa poi cancellata dal Consiglio di Stato, e di poca cordialità fra una parte di Sel e il candidato; a Cagliari invece il giovane talentuoso Massimo Zedda è ricandidato da tutto il centrosinistra, Pd in testa; e infine a Napoli tutta la sinistra-sinistra si prepara a vincere con Luigi de Magistris, ma distribuita in due liste diverse.
«Sarebbe stato un errore fare delle amministrative un test politico proprio all’avvio della nostra fase costituente, per questo abbiamo promosso alleanze capaci allargare il più possibile il fronte», spiega Alfredo D’Attorre, ex pd. «È inutile però nascondersi che i risultati dimostreranno se c’è uno spazio a sinistra del Partito democratico. La nostra scommessa è che ci siano elettori che chiedono discontinuità rispetto alla deriva del partito della nazione». In campo per prendere voti al Pd, dunque? «Non siamo in campo per far perdere qualcuno, ma perché siamo convinti che un pezzo della società non è più rappresentata dal Pd e che se non ci fossimo noi non andrebbe a votare».

Arturo Scotto, capogruppo alla camera, mette di più l’accento sul valore locale del voto: «Queste elezioni riguardano innanzitutto le città, sempre più fragili al tempo dei tagli e dei patti di stabilità che strangolano ogni possibilità di sviluppo. Vogliamo interpretare una discontinuità soprattutto su questo: un neomunicipalismo solidale che riesca a diventare una risposta credibile a chi, come il governo Renzi, ha centralizzato poteri e risorse». Non è un caso che per il dopo voto Giorgio Airaudo, candidato di Torino in comune, ha lanciato l’idea di una rete «neomunicipalista» sul modello delle esperienze delle città spagnole, prime fra tutti Madrid e Barcellona. Sempreché quel po’ di unità raggiunta a sinistra regga alla prova dei ballottaggi.
Che, comunque vada, saranno un momento delicato: a Roma e Torino ci potrebbe essere lo spareggio fra Pd e 5 Stelle. In questo caso la sinistra potrebbe decidere di non dare indicazioni. Una scelta difficile ma che alcuni considerano obbligata: il male minore rispetto a nuove divisioni. Certo se per esempio a Roma il Pd perdesse il ballottaggio l’immagine di Matteo Renzi ne uscirebbe malconcia. Ma c’è chi considera il grillismo una variabile del populismo di destra, quindi invotabile. Come l’ala che fa capo a Massimiliano Smeriglio, vice di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio. La sua area, riunita nel “documento dei cento” si prepara a dare battaglia in vista del congresso, per tenere aperta una possibilità al centrosinistra. A loro guardano Laura Boldrini, Giuliano Pisapia, Massimo Zedda e il sindaco di Genova Marco Doria. Anche se va detto che ormai, con l’Italicum, qualsiasi idea di coalizione alle politiche è archiviata. Dall’altra parte, Nicola Fratoianni, coordinatore di Sel, è l’aspirante leader di una sinistra sempre e comunque alternativa al Pd, la stessa di cui è sostenitore Fassina, forse anche lui con qualche ambizione.
Ma al congresso manca ancora troppo tempo. E prima c’è il referendum costituzionale. Una sconfitta del sì terremoterebbe tutto lo scenario politico, ben oltre i recinti della sinistra. Ma in quei recinti la sconfitta del no potrebbe avere conseguenze deflagranti.

Fra gli alleati delle città c’è anche chi tifa per rifare da zero una nuova creatura unitaria. «Rifondazione comunista ha lavorato per costruire liste unitarie di sinistra con candidati alternativi al Pd», spiega Paolo Ferrero, segretario Prc. Operazione riuscita nella maggioranza delle città, spiega: «In 17 capoluoghi di provincia su 23 e 74 su 156 comuni al di sopra dei 15mila abitanti. Queste liste sono un intreccio tra i diversi partiti della sinistra e il vasto mondo impegnato nel sociale. Di fatto è partito un vero processo costituente dal basso, alternativo agli altri poli politici nel pieno rispetto delle appartenenze organizzative. Da qui dobbiamo partire per dar vita a un processo costituente su base nazionale. Il voto alle liste unitarie di sinistra è quindi un voto che vale doppio: vale per i territori e per costruire una sinistra degna di questo nome». Il doppio o anche di più, qualsiasi cosa valgano questi voti, ora non resta che aspettare di contarli.



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