L’ecomostro che indigna il mondo per arginare esondazioni inesistenti
COMO Ci farebbe un romanzo? «Mah, il lago che racconto io è di un’epoca che il lago lo rispettava… Il lago è tutto. Guardi questa montagna dietro di me: un tempo era piena di vigne, non di case. La bellezza del posto non è stata governata da chi doveva e la storia del muro è solo la punta dell’iceberg. Un’opera inutile eretta per affrontare esondazioni ridicole, quasi giocose: mi ricordo solo una volta le passerelle su piazza Cavour, poi mai nulla… Ecco, potrei scrivere un racconto grottesco su quest’inutilità: m’hanno raccontato d’un assessore che doveva sistemare la fontana della piazza, un bel monumento alla gloria d’un paesino della zona. Sa che cos’ha fatto? Ha imbullonato il rubinetto. A che cosa serve una fontana che non dà acqua?».
Due storie di lago in questi giorni intristiscono il cuore d’Andrea Vitali, lo scrittore: la sorte dell’agone che la notte sale a riva per deporre le uova, e viene pescato di sfroso; il traghetto che lo porta sull’altra sponda e le frodi gliele rinfaccia ogni volta, «i cementi inutili di Como, certo, ma anche sopra Varenna, Perledo, Bellano. Io vivo in una casa di cemento e non su una palafitta, ma insomma c’è modo e modo d’usare il cemento…». Il Piccolo Mose non è modo: come Libeskind e Stefano Boeri, Sgarbi e Gualtiero Marchesi, il Giuseppe Fontana proprietario di Villa d’Este e il Remo Ruffini monsieur Moncler, Ivana Spagna e Facchinetti, Van De Sfroos e Zambrotta, Bergomi e Gentile, come i 60 mila comaschi d’una città che ne ha 85 mila, l’altro giorno anche Vitali ha spedito la sua cartolina «Walk of Shame» a Palazzo Chigi. Un selfie a Renzi perché non faccia il don Abbondio, che gli indichi l’ecomostro e gli chieda di farla finita «con questa sconcezza che non ci meritiamo».
Ridateci il lago. Sempre «immobili, scure e pesanti» (citazione da Vitali), le acque ferme più famose, più profonde e più inquinate d’Italia stavolta si sono smosse ben prima che le agitassero Cantone e il procuratore Piacente con le manette, che ci si tuffassero grillini&Salvini a chiedere dimissioni. L’onda d’indignazione per l’affare delle paratie ha sommerso tutti: quattro anni fa il centrodestra dell’ex sindaco Bruni (appena ingabbiato in un’altra inchiesta) e telecomandato da Formigoni e Maroni, cacciato all’opposizione per manifesto pasticcio nella più pidiellina delle città lombarde; ora il Pd del sindaco Lucini, indagato, che aveva promesso una soluzione e per manifesta incapacità rischia di cadere prima di fine mandato. Dire cattedrale nel deserto, a Como, è un luogo comune logoro: rovinare il lago con un inutile Mose, come se fossimo in laguna e le piene fossero le stesse di vent’anni fa, inventando un’opera idraulica solo per acchiappare i fondi avanzati da un’alluvione in Valtellina, ha fatto dell’onda comasca uno tsunami d’indignazione giunto ai media inglesi, americani, giapponesi. «Non è calcolabile la distruzione d’un brand diventato celebre come Venezia, che significa letteratura e storia italiana, Liszt e Wagner, le dive e i presidenti, George Clooney e le location cinematografiche, le ville e lo Studio Ambrosetti, il lusso e il tessile — dice il direttore della Provincia, Diego Minozio —. Ma soprattutto non è calcolabile il danno a chi vive qui: ci sono bambini che non hanno mai visto il lungolago». Da dodici anni, la camminata da piazza Cavour allo stadio è un cantiere rugginoso e infinito, un folle muro di tre metri che chiude il panorama, un pozzo di spese pazze profondo tre volte il preventivato. Investigano la Procura, l’Anticorruzione, la Corte dei conti e sul «bifido fiordo» sanno che da questa tempesta perfetta non s’uscirà presto: tra ricorsi e sentenze, c’è chi calcola servano 10-15 anni per rifare la riva com’era. «Io invidio l’Iseo — è amaro Vitali —, ma che bellezza che è… Invece qui lo stile di vita ci ha portato a livelli troppo alti, a speculare e costruire, ignorando la nostra terra. Però questa vicenda ha portato una cosa buona: i comaschi si sono rinnamorati del lago». C’è voluto anche Clooney… «Noi siamo fatti così: se vengono a comprarselo fin dall’altra parte del mondo, una ragione ci sarà».
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