Come cambia il Terzo settore
E adesso si apre la fase più delicata: il Terzo settore ha la sua riforma, approvata l’altra sera alla Camera. Ma per renderla operativa bisogna aspettare i decreti attuativi che dovranno dissipare i dubbi rimasti su alcuni punti «critici». Tutte le voci del mondo del volontariato, delle cooperative, delle fondazioni che si sono ascoltate ieri concordano sul fatto che si sia mosso un passo avanti rispetto a una legislazione datata.
Questo nuovo impianto anzitutto definisce, ampliandolo, il concetto di Terzo settore. Tra i punti chiave si evidenzia la revisione di tutto quanto riguarda l’impresa sociale, che segna il superamento della divisione secca fra profit e non profit. Si riforma il servizio civile nazionale, esteso anche ai cittadini stranieri regolarmente residenti, e si stabilizza il 5 per mille che fino ad oggi restava ogni anno sospeso sulla base della disponibilità dell’ultima Finanziaria dell’anno. Prevista anche la riforma dei centri di servizio per il volontariato (Csv) che potranno essere gestiti da tutti gli enti del terzo settore e si allargano a tutti i soggetti portatori di servizi andando oltre il volontariato «puro». Altra novità è la nascita della Fondazione Italia Sociale, un ente su cui vanno chiariti compiti e fonti di finanziamento (lo Stato stanzia un milione, ma si dice che il capitale sociale iniziale potrebbe essere di 150 milioni, attinti da fondazioni e dal privato): nasce da un’idea del finanziere Vincenzo Manes che l’ha presentata come l’Iri del terzo settore. Proprio questo è il tema su cui si concentrano le polemiche più aspre: «Uno strumento elettorale per muovere capitali», lo bolla il Movimento Cinque Stelle. «Una forzatura che dimostra l’evidente sudditanza ai desideri di un finanziere amico del premier», accusa Sel. «Il presidente del Consiglio — analizza Forza Italia — mette in campo sostanzialmente una sua emanazione che andrà di fatto a drenare fondi già convogliati in direzione della realtà del terzo settore».
Con questa norma «si dà piena attuazione a quanto previsto dall’articolo 118 della Costituzione, ovvero l’impegno delle istituzioni a favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale”», ribadisce il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba. Il terzo settore sostanzialmente plaude, dicevamo. Ma, mentre la Cgil parla di «riforma senz’anima», il Csv ammette «preoccupazioni sulle risorse a disposizione»; mentre la Conferenza permanente delle associazioni, federazioni e reti di volontariato teme che la revisione dei Csv estenda la platea dei beneficiari «troppo oltre le reti di volontariato». Insomma: aspettiamo i decreti attuativi.
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