L’Italia fuma meno e fa più sport ma per la prima volta diminuisce la speranza di vita

L’Italia fuma meno e fa più sport ma per la prima volta diminuisce la speranza di vita

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Il trend negativo è in buona parte dovuto al picco di 54.000 morti in più registrato nel 2015 Ricciardi, direttore della ricerca: “Le diseguaglianze territoriali effetto della devolution”

Per la prima volta nella storia (almeno in quella delle rilevazioni statistiche), cala l’aspettativa di vita degli italiani. Chi è nato nel 2015 può aspettarsi di vivere, mediamente, 80,1 anni se maschio, 84,7 se femmina. E basta un anno a fare la differenza: i nati nel 2014 hanno davanti 80,3 anni se maschi, 85 se femmine.

Il segnale d’allarme emerge dal rapporto Osservasalute, che fotografa — in 590 pagine — la salute degli italiani e la qualità (diseguale) dell’assistenza sanitaria nel Paese. Chi nasce in Campania e Sicilia può aspettarsi di vivere ben 4 anni in meno rispetto a chi viene al mondo nelle Marche o in Trentino. Di Regione in Regione, il rapporto squaderna le ragioni di questa inedita inversione di tendenza, a partire dalla mancata prevenzione di molte malattie, e dal flop dell’assistenza. «Abbiamo perso in 15 anni i vantaggi acquisiti in 40, quando si guadagnava mediamente un anno di aspettativa di vita ogni quattro», accusa Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni, che redige il rapporto, e presidente dell’Istituto superiore di sanità (nel ‘74 la speranza di vita alla nascita era di 69,6 anni per gli uomini, 75,9 per le donne). L’inversione di tendenza ha ragioni precise, secondo i 180 ricercatori che hanno curato il rapporto: la prevenzione assente, perché finanziata con un 4,1% della spesa sanitaria che rende l’Italia fanalino di coda in Europa, contro il 16% dei tedeschi e l’8% dei francesi. E la crisi economica, che obbliga le famiglie a differire le cure non indispensabili. «Non è un caso — argomenta il presidente dell’Iss — che gli altri due episodi europei di inversione di tendenza si siano verificati nell’ex Urss con il crollo del regime sovietico quando, per l’annientamento dei sistemi sanitari, si persero 4 anni in un colpo solo. E 21 anni fa in Danimarca, per l’esplosione dei fattori di rischio legati a fumo e alcol». Il dato italiano, spiega Ricciardi, sconta anche il picco di 54mila morti in più registrati nel 2015, dovuto in parte al crollo delle vaccinazioni antinfluenzali tra gli anziani, dopo l’allarme (poi rientrato) sulla pericolosità di alcuni lotti.

A emergere è la grande diseguaglianza regionale, che si riflette sull’aspettativa di vita. «Prima della devoluzione — continua Ricciardi — gli italiani potevano aspettarsi di vivere più o meno tutti lo stesso tempo. Poi si è aperta una forbice, che peggio- ra di anno in anno. Ormai, a parità di fattori di rischio, dal fumo all’alcol, al Sud i servizi sanitari sono precipitati. Soprattutto nelle Regioni ancora alle prese con il piano di rientro: Campania, Sicilia, Lazio. Noi diamo i dati. Ma su questi i decisori devono confrontarsi ».

Le soluzioni sono a portata di mano: più prevenzione, più vaccini ad anziani e bambini, più screening per i tumori. E riorganizzazione dei servizi. Concorda ilministro della Salute, Beatrice Lorenzin: se i dati saranno confermati, spiega, evidenziano l’importanza di «tornare a investire in prevenzione» a partire da «corretti stili di vita: mangiare sano, evitare alcol e fumo, eseguire vaccinazioni e screening secondo i consigli della scienza».



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