L’Italia vuole la sua Turchia
L’accordo con la Turchia rende evidente la nera notte in cui l’Unione europea ci sta trascinando. È innanzitutto un pugnale rigirato nelle ferite aperte di decine di migliaia di profughi che nel viaggio disperato verso l’Europa intravvedono l’unica possibilità di sopravvivere a guerra e fame; per garantirsi il più elementare dei diritti umani: quello alla vita. È una risposta che viola tutte le convenzioni sottoscritte dopo la seconda guerra mondiale e la Shoah.
E rende evidente il cinismo di quei governanti che hanno versato lacrime di coccodrillo sopra la foto del piccolo Aylan «spiaggiato» sulle coste della Turchia, ma che da allora hanno lasciato morire non meno di 450 suoi coetanei, insieme a tanti altri adulti. Poi l’accordo di «rimpatrio» di decine di migliaia di persone senza più «patria» è una scelta di governi e politici senza cuore né cervello, lanciati all’inseguimento delle destre razziste che hanno ormai conquistato la scena in tutta l’Europa (e non solo). Una risposta con cui sperano di neutralizzarne l’avanzata, mentre non fa che rafforzarle dando loro ragione. Ma il risultato più vistoso è la legittimazione del regime di Erdogan, che lo autorizza a continuare sulla sua strada: guerra ai curdi, dentro e fuori i confini del paese, repressione di ogni libertà, a partire da quella di informazione e, soprattutto, libertà di proseguire nel sostegno all’Isis, o alle fazioni che ne prenderanno il posto se l’Isis dovrà ritirarsi; purché continuino a impedire qualsiasi riassetto pacifico in Medio oriente per contenere le forze che ostacolano la politica egemonica della Turchia sulla regione.
Così Erdogan ha cominciato a «rimpatriare» in Siria, consegnandolo di fatto all’Isis un primo «lotto» di quei profughi che dovrebbe invece tutelare.
Ma quell’accordo ha, e avrà sempre più, pesanti ripercussioni anche in Europa: filo spinato, soldati in assetto di guerra, muri e controlli ai confini tra uno Stato membro e l’altro per perseguire quello stesso obiettivo: difendersi dai profughi. I governi europei, corrono a erigere quei muri per scaricare sui vicini quei «flussi» perché temono che gli facciano perdere i loro elettori. Torna così all’ordine del giorno l’idea che anche L’Unione europea sia destinata a svanire. Angela Merkel, che l’ha guidata sul cammino mortifero dell’austerity, rendendola odiosa ai suoi cittadini (e i risultati si vedono) e verso questo accordo suicida con la Turchia (per sottrarsi all’accusa di non reagire contro l’”invasione” dei profughi), ne ha mostrato le conseguenze autorizzando il processo a un piccolo comico che si era preso beffe di Erdogan. E’ una strada segnata: per liberarsi dei profughi, fingendo di poterlo fare con un patto indecente, ci sottomette al sultano (peggio che cedere ai razzisti di Pegida: ma i risultati sono un po’ gli stessi) e lo incoraggia a disseminare di guerre i confini dell’Europa.
Ce ne sarebbe abbastanza per dire basta ed esigere un’inversione di rotta sulle politiche di respingimento come sull’austerity che ha reso inospitale l’Europa sia ai profughi che a milioni di suoi cittadini. Invece Renzi rivendica l’estensione di quell’accordo a tutti i paesi da cui vengono i profughi: metà dell’Africa. «Il recente accordo Ue/Turchia – recita l’Italian non-paper inoltrato alle autorità europee – rappresenta il primo tentativo per dar vita a una cooperazione di larga scala con un paese terzo, dimostrando che è possibile utilizzare in modo innovativo strumenti e budget già esistenti». Ma l’Africa non è la Turchia, per questo il non-paper propone di affiancare agli accordi per fare i rimpatri e la guerra ai profughi (ribattezzata security), dei programmi di sviluppo e di reinsediamento (l’«aiutiamoli a casa loro» di Salvini, alibi di tutti coloro che non li vogliono vedere).
Finanziati con degli eurobond (Eu-Africa bonds): uno strumento che sarebbe essenziale per riequilibrare i rapporti tra paesi membri dell’Unione Europea, ma che Renzi non ha mai osato proporre, limitandosi centellinare i decimi di punto di Pil da «strappare» alla Commissione. Ora quello strumento viene invece riproposto per «sviluppare» l’Africa (un miliardo di abitanti!) e frenare la fuga dei «migranti economici». Come fosse un giochetto. Bisogna capirlo: Renzi non ha fatto né previsto niente sui profughi quando aveva la Presidenza europea; ma ora si accorge che la politica dell’ «ognuno per sé», che ha lasciato crescere nei suoi due anni di governo – abbandonando, tra l’altro, la Grecia all’isolamento – gli si rivolta contro; e che quelle barriere, da Ventimiglia al Brennero e a Idomeni, hanno un solo obiettivo: lasciare che a sbrigarsela con i prossimi arrivi siano Grecia e Italia, che quelle barriere, con 18mila chilometri di coste non possono costruirle.
Ma la Grecia ha come dirimpettaio la Turchia: una potenza che può gestire a suo vantaggio, e a spese dei profughi, quel patto scellerato che anche Tsipras ha finito per approvare. Ma l’Italia, chi ha di fronte? La Libia, che prima di poter gestire un patto del genere (già fatto a suo tempo con Gheddafi, e andato in fumo) dovrà subire un’altra guerra, rimandata ma ritenuta irrinunciabile. E l’Egitto, vera potenza regionale (grazie all’appoggio saudita, ma anche di Usa, Israele e diversi paesi europei: scandaloso quello della Francia) che gestisce già il flusso dei profughi del Corno d’Africa con il «processo di Khartum». Quanto basta a far dimenticare ciò che l’omicidio di Giulio Regeni sta scoperchiando. Ma dietro Egitto e Libia, e poi Algeria, Tunisia e Marocco, c’è la «seconda fila» dei paesi subsahariani da cui proviene la maggior parte dei profughi ambientali (rinominati dal non-paper «migranti economici» per poterli respingere senza problemi).
Ma quei respingimenti sono una vera e propria guerra, destinata a moltiplicare e potenziare i tanti conflitti armati già in corso in molti di quei paesi martoriati. Difficile che i governi di questa Unione europea tirino fuori i soldi per finanziare un progetto che, nella loro miopia, dovrebbe «proteggere dai profughi» soprattutto l’Italia. Angela Merkel ha già detto No. Dunque, quei profughi continueranno ad arrivare: anche a costo di morti, violenze e stragi sempre più feroci tra le loro file. Ma alla moltiplicazione dei conflitti ai confini dell’Europa e del terrorismo al suo interno, del razzismo e della discriminazione nelle sue politiche, della dissoluzione di ogni solidarietà interstatuale nelle sue istituzioni l’unica alternativa sono accoglienza e integrazione: strada obbligata per permettere un futuro a una popolazione europea sempre più vecchia, l’abbandono delle mortifere politiche di austerity per fare posto a una conversione ecologica che riguardi tutta la regione coinvolta dai flussi migratori che investono il continente e la libera circolazione dei nuovi arrivati. Che sono la parte più viva e intraprendente delle comunità da cui sono fuggiti e l’unico vero agente di una cultura dell’accoglienza e di un realistico piano di cooperazione: non a uno «sviluppo» irraggiungibile e mortifero, ma alla sostenibilità; e alla pacificazione dei loro paesi di origine che la renda possibile.
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