L’Austria minaccia: «Controlleremo noi il territorio italiano»
Sarà anche vero che il polverone alzato sulla possibile chiusura del Brennero potrebbe essere solo una manovra elettorale (in Austria si vota il 24 aprile per le presidenziali e i sondaggi danno in salita la destra nazionalista e xenofoba), ma di sicuro Vienna non fa niente per evitare che la tensione con l’Italia continui a crescere. Il ministro della Difesa Hans Peter Doskozil ieri è arrivato a ipotizzare l’utilizzo di agenti di polizia e soldati austriaci in territorio italiano se Roma non dovesse fermare i migranti. «Chiederemo all’Italia di poter controllare noi anche sul suo territorio», ha detto Doskozil minacciando, «in caso estremo», di chiudere completamente il confine.
Parole pericolose, anche perché accusano Roma di non saper gestire i flussi di migranti, di fronte alle quali però per il momento palazzo Chigi non sembra voler reagire ulteriormente dopo la lettera di protesta inviata nei giorni scorsi al commissario Ue per l’immigrazione Avramopoulos. «Vediamo di che si tratta, perché se sono solo parole e gesti simbolici penso che non ci saranno conseguenze sul terreno alla frontiera, ma se ci saranno davvero dei muri sarebbe molto grave», ha detto ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni.
Di simbolico, veramente, per adesso sembra esserci davvero poco. Ieri si è saputo che l’Austria intende chiudersi anche a Est, al confine con l’Ungheria, mentre al Brennero proseguono i lavori per la costruzione della barriera di 250 metri (costo di tutte le opere 1,1 milioni di euro) che dopo più di vent’anni dalla fine di maggio tornerà a separare i due stati. Una prospettiva di certo non allegra, anche perché il ripristino dei controlli al confine porterebbe inevitabilmente con sé anche pesanti conseguenze economiche per entrambe le parti. Ma c’è un altro fatto che, se confermato, dimostrerebbe che i partiti della coalizione guidata da cancelliere Werner Faymann non starebbero scherzando. Stando infatti al quotidiano greco Kathimerini, l’Austria avrebbe intenzione di chiedere all’Unione europea l’autorizzazione all’uso di aerei militari per l’espulsione verso la Turchia dei migranti economici e di coloro ai quali è stata respinta la domanda di asilo. La richiesta sarebbe contenuta in una lettera già inviata alla rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini, e potrebbe essere discussa nel corso del prossimo vertice dei ministri degli esteri, in programma per il 19 aprile a Lussemburgo. Appoggerebbero la richiesta di Vienna anche l’ex Repubblica jugoslavia di Macedonia, la Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Montenegro, Slovenia e Slovacchia, tutti paesi della Cooperazione della difesa dell’Europa centrale, Cedc, ma soprattutto paesi che da tempo fanno ormai blocco a sé adottando politiche di contrasto dei migranti anche senza l’accordo di Bruxelles.
L’uso di aerei militari sarebbe però solo una delle richieste. Un’altra riguarderebbe la costituzione di una «forza ausiliaria» da inviare in aiuto ai paesi più sottoposti alla pressione dei migranti. Non è chiaro se questa nuova forza andrebbe ad aggiungersi alla guardia di frontiera e costiera europea che l’Unione ha già programma di costituire entro giugno con lo stesso scopo, oppure si si tratta della stessa cosa. Ma il segnale inviato all’Ue è chiarissimo.
Vienna non è però ceto l’unico problema per bruxelles. L’accordo siglato il 18 marzo scorso con la Turchia per arginare gli arrivi di migranti in Europa e accusato da più parti di violare il diritto internazionale (domani a Lesbo arriverà anche papa Francesco come gesto di solidarietà con i migranti) ieri è stato contestato anche dall’europarlamento che a Strasburgo ha votato una risoluzione in cui si chiede di collegare la gestione dell’emergenza profughi con il processo di adesione della Turchia all’Ue. La risoluzione, passata con 375 voti a favore, 133 contrari e 87 astenuti, contesta infatti le «regressioni» avvenute in Turchia per quanto riguarda la libertà di stampa e condanna «il controllo violento e illegale dei quotidiani» invitando il governo di Ankara ad «agire contro l’intimidazione dei giornalisti in tutte le sue forme». Per Strasburgo, il fatto che il regime di Erdogan impedisca ai migranti di partire (e bisognerebbe discutere anche sul modo in cui lo fa) non deve rappresentare automaticamente un via libera al processo di adesione all’Ue.
Ankara non sembra però preoccuparsi più di tanto dei dubbi dei parlamentari europei. A ricordare a Bruxelles gli impegni presi ci ha pensato infatti Volkan Bozkir, ministro turco per gli Affari europei, che è tornato a sollecitare la liberalizzazione dei visti come promesso nell’accordo del 18 marzo. Altrimenti, ha minacciato il ministro, «se l’Ue non permetterà ai turchi di viaggiare liberamente in Europa l’accordo è da considerarsi sospeso».
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