Patto con Johnson dopo i Panama Papers Cameron per salvarsi si affida ai nemici
LONDRA La settimana più difficile nei sei anni di David Cameron a Downing Street finisce con un piano di salvataggio estremo. Dopo averle provate tutte per liberarsi dallo scandalo dei Panama Papers, nel corso del weekend il primo ministro britannico ha elaborato “
Operation Save Dave”, l’operazione per salvare Dave, cioè se stesso. Secondo indiscrezioni del Sunday Times, il progetto consiste nell’offrire posti di primo piano nel governo ai suoi più agguerriti avversari all’interno del partito conservatore: Boris Johnson, l’attuale sindaco di Londra, potrebbe diventare ministro degli Interni o ministro degli Esteri; Michael Gove, attuale ministro della Giustizia, diventerebbe vice- premier. L’iniziativa scatterebbe dopo il referendum del 23 giugno sull’Unione Europea, sul quale proprio Johnson e Gove hanno una posizione contraria a quella di Cameron: mentre il premier si batte per un “sì” alla Ue, il sindaco e il responsabile della Giustizia sono schierati decisamente per il Brexit, ovvero per “ Britain exit”, l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. E Johnson non nasconde l’ambizione di portargli via la poltrona di primo ministro, quando il leader conservatore si ritirerà di sua volontà (ha detto che non intende ricandidarsi nel 2020) o prima, se fosse costretto a farsi da parte per una sconfitta nel referendum o per le rivelazioni dei Panama Papers sui suoi guadagni esentasse.
Dando un ruolo decisivo nel governo a quelli che di fatto sono i suoi nemici, quale che sia il risultato della consultazione sulla Ue, Cameron avrebbe due obiettivi. Da un lato, riappacificare un partito spaccato in due dal referendum; dall’altro, garantire che l’ala più euroscettica dei Tories smetta di attaccarlo su tutto e garantirsi la sopravvivenza politica almeno per un po’. Da quando il premier fa apertamente campagna per restare in Europa, infatti, metà del partito e i giornali che in quella metà si riconoscono non perdono occasione per sparare a zero su di lui. Come prova il caso dei Panama Papers: le accuse più dure contro Cameron giungono dal Daily Mail e dal Telegraph, due quotidiani filo-conservatori ma fieramente pro-Brexit. Già attaccato dall’opposizione laburista («Se guadagni, devi pagare le tasse», tuona il leader Jeremy Corbyn), il premier deve avere riflettuto che, se i Tories e i giornali di riferimento non gli fanno quadrato intorno, il suo futuro è segnato. Da qui l’operazione “Salvare Dave”: anche a costo di designare di fatto Johnson, suo rivale da sempre, come erede designato.
«Ammetto di avere sbagliato», ha detto Cameron, assumendosi la responsabilità delle dichiarazioni incomplete che ha fatto sui Panama Papers, prima di confessare di avere investito 30 mila sterline (40 mila euro) fino al 2010 nel fondo off-shore creato da suo padre. Quindi ha reso pubbliche le dichiarazioni dei redditi degli ultimi sei anni, cioè da quando è a Downing Street, nella speranza di dimostrare trasparenza e onestà. Invece sono partite nuove accuse. Dai redditi risulta che suo padre gli lasciò in eredità 300 mila sterline, appena sotto il livello su cui bisogna pagare le tasse, e quattro mesi più tardi sua madre gliene donò 200 mila, un regalo esentasse se chi lo fa vive altri sette anni (ne sono passati cinque). Avesse ereditato quei soldi tutti insieme, avrebbe dovuto pagare 70 mila sterline di tasse. Tutto legale, ma moralmente una pessima figura. Stamane, Cameron riferirà in Parlamento. Dopo che nel fine settimana migliaia di dimostranti hanno assediato Downing street chiedendo le sue dimissioni, ormai per salvarsi deve fare affidamento sui propri avversari.
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