Le mani sul petrolio lucano
Cinque permessi già approvati, quarantasette comuni coinvolti, un’area interessata di quasi mille chilometri quadrati, due multinazionali come la Shell e la Total a fare la parte del leone. Non bastassero i venti pozzi di Viggiano (il comune d’Europa con il tasso più alto di trivellazioni) più gli altri sette della Val d’Agri, il Centro Oli più grande d’Italia e le nuove concessioni di “Tempa Rossa”, ora sotto inchiesta, il governo Renzi con il decreto Sblocca Italia ha dato il via libera a trasformare la Basilicata in una sorta di regione-gruviera.
La nuova frontiera dell’ «Eldorado nero», come furono definite negli anni Trenta le terre del petrolio lucane, è l’area che confina con la parte inferiore della Campania, a ovest, e la Calabria jonica a est. La compagnia francese finita nel mirino dell’inchiesta dei magistrati potentini si è aggiudicata il territorio più vasto, quello di Tempa La Pertosa, che va da Senise, comune del basso potentino noto per la produzione (protetta dal ministero dell’Agricoltura) dei peperoni cruschi (essiccati al sole), fino al mar Jonio, sforando in cinque comuni calabresi: in tutto 412 chilometri quadrati. Ma la Total è autorizzata a cercare l’oro nero pure in un’altra area interna della Basilicata (in tutto 188 kmq), che comprende 12 comuni delle Dolomiti lucane tra i quali Accettura (i cui boschi suggestivi e l’antica Festa del Maggio hanno impressionato fotografi come Henri Cartier Bresson e Mario Dondero, nonché pittori come Carlo Levi ed Ernesto Treccani) e la Tricarico del poeta-scrittore Rocco Scotellaro. Cosa avrebbe scritto di tutto ciò l’autore di L’uva puttanella e Contadini del sud, che per un periodo fu anche sindaco del comune materano? Nello stesso permesso, ironicamente definito “Oliveto lucano” in omaggio alla pianta-simbolo della zona, ci sono pure paesi come Acerenza, Castelmezzano e Pietrapertosa, tutti e tre nell’elenco dei 200 borghi più belli d’Italia.
Da est verso ovest, la spartizione del territorio lucano passa dai francesi agli americani. La Shell si è aggiudicata i permessi “La Cerasa” (76 chilometri quadrati e cinque comuni interessati), “Pignola” (55 kmq e cinque comuni, tra i quali il capoluogo Potenza) e “Monte Cavallo”. È quest’ultimo il fronte più delicato: su 212 kmq, ben 161 sono in Campania, e cinque comuni interessati (Polla, Padula, Sant’Arsenio, Sassano, Teggiano) si trovano all’interno del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, in piena zona protetta. Non è la prima volta che una multinazionale prova a trivellare da quelle parti: alla fine degli anni Novanta toccò alla Texaco, che fu costretta a ritirarsi dalla dura protesta della popolazione, che non voleva subire la stessa sorte della non lontana Val d’Agri e non credette alla propaganda degli americani. Per ora siamo ancora alle scaramucce: tutti i comuni interessati si sono espressi contro le trivellazioni, mentre la compagnia a stelle e strisce ha gettato acqua sul fuoco per tranquillizzare la popolazione: le autorizzazioni sono per la Valutazione d’impatto ambientale e non c’è ancora nulla di definito. Ma «nell’avviso pubblicato dalla società Shell Italia E&P SpA», si legge sul sito dell’Organizzazione ambientalista lucana (Ola), «è espressamente previsto un pozzo esoplorativo laddove le condizioni geologiche strutturali e stratigrafiche del substrato indichino un potenziale accumulo di idrocarburi economicamente sfruttabili con procedure autorizzative in capo al ministero dello Sviluppo economico con procedure previste dalle leggi vigenti».
Nella stessa concessione di Monte Cavallo si trova pure Tramutola, luogo-simbolo del sogno petrolifero lucano. Fu lì che una sostanza nerastra, bituminosa, alla metà dell’Ottocento prese a sgorgare spontaneamente dalle viscere del terreno, al punto che nel 1878 un’ampolla del prezioso liquido fu mostrata come una reliquia all’Esposizione universale di Parigi. A partire dagli anni Trenta, le montagne di Tramutola divennero un serbatoio di carburante: l’Agip tra il 1936 e il 1947 vi costruì 47 pozzi. All’epoca l’intero bacino garantiva una produzione di circa 100 mila barili di olio e 7 milioni di metri cubi di gas. La compagnia italiana (ora Eni) è tuttora titolare della concessione, ma i pozzi sono stati abbandonati.
Il petrolio sgorga però ancora tra i boschi, viscido e oleoso, a poca distanza da un parco acquatico, forma una sorta di ruscello nerastro e si riversa in un torrente, il rio Cavolo. Il ruscello sfocia poi nel lago artificiale Pertusillo, a più riprese oggetto di denunce ambientaliste sull’inquinamento delle acque. Ora pure a Tramutola, dove per primi si accorsero dell’oro nero lucano e qualcuno gli attribuì pure virtù taumaturgiche, si attende l’arrivo degli americani.
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