Siria Svolta contro Assad

Siria Svolta contro Assad

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Sono una delle comunità più antiche e misteriose del mondo, quella che alimenta il potere della famiglia Assad, che ha combattuto senza pietà per difendere il regime e sta pagando un prezzo altissimo nella guerra civile che insanguina la Siria. Ma adesso una parte dei tre milioni di alawiti chiede un nuovo corso a Damasco, che determini il cambiamento nel vertice e permetta di iniziare un cammino di pacificazione, attraverso la costruzione di uno Stato laico e democratico. Lo fa con un documento in 35 punti, analizzato in esclusiva da un’inchiesta congiunta di Repubblica, Welt e Figaro, condotta incontrando diversi promotori dell’iniziativa: esponenti alawiti che vivono in Siria e i cui nomi non vengono riportati a tutela della loro incolumità. Il documento intreccia aspetti politici e religiosi, presentandosi come una “Dichiarazione di riforma dell’Identità”. Ha infatti l’obiettivo di superare i contrasti dottrinari che da secoli oppongono gli alawiti ai musulmani sunniti, la maggioranza della popolazione siriana che dal 2011 ha preso le armi contro la dittatura. Rivalità che risalgono al tardo medioevo, quando una fatwa sunnita ha marchiato di eresia la setta: una persecuzione violenta che ha forgiato il pensiero della comunità, rimasta per mezzo millennio arroccata sulle montagne, fino al crollo dell’impero ottomano. Da allora gli alawiti si sono lentamente espansi, diventando dominanti nelle forze armate e ispirando la nascita del partito laico Baath. Finché nel 1971 uno dei loro esponenti, il generale Hafez al Assad, ha imposto la dittatura e li ha resi una “minoranza al potere”. Nel 1982 c’è stata una feroce rappresaglia contro i movimenti sunniti, con il massacro di migliaia di persone. Quasi una premessa alla repressione condotta da Bashar, il figlio ed erede di Hafez al Assad, dopo le proteste popolari che 5 anni fa hanno dato inizio alla guerra civile.
Adesso con questo documento una parte degli alawiti cerca di inserirsi nelle trattative di pace in corso a Ginevra. E gli autori del testo spiegano che pur di mantenere unita la Siria sono pronti anche ad accettare un presidente sunnita a capo però di uno Stato laico che rispetti tutte le religioni. Un’apertura che – se realmente sostenuta dalla setta – potrebbe segnare una svolta nei colloqui.
I promotori dell’iniziativa dichiarano che dietro di loro c’è la maggioranza degli alawiti: «Ci siamo rivolti prima ai Mashaeikh (ndr. leader religiosi) di livello più basso e la gran parte ci ha sostenuto, rappresentando il 40 per cento della comunità. Quindi siamo passati a quelli di alto rango raccogliendo l’appoggio dei rappresentanti di un altro 25 per cento”. La situazione in Siria non ha permesso di verificare queste valutazioni, né è stato possibile riscontrare l’adesione al proclama di alcune decine di capi religiosi, intellettuali, parlamentari – indipendenti o membri del partito Baath – e ufficiali delle forze armate – in carica o in pensione – di primo piano. Le personalità incontrate dai giornalisti di Repubblica, Welt e Figaro rivestono ruoli importanti nella comunità: non si tratta di esiliati o dissidenti, ma di figure che mantengono la loro attività nel paese. E sottolineano di fare riferimento alle quattro “famiglie” principali che compongono la setta: «I sostenitori dell’appello vengono da tutte le zone abitate dagli alawiti, da Latakia e Tartus sulla costa ma anche da Homs, Hama e Damasco nell’interno». Non propongono un golpe, ma una trasformazione dall’interno: «Non siamo contro Assad come persona, siamo contro l’attuale sistema. Non possiamo salvare lo Stato se lui si dimette subito. Ma con lui al potere non ci saranno riforme. Così abbiamo bisogno di un cambiamento per fasi, monitorato dalla comunità internazionale ». Nei loro propositi, l’iniziativa «può essere una via d’uscita per il regime. I nostri capi religiosi possono negoziare un accordo e garantire la protezione della famiglia Assad». E credono che questa sia l’ultima occasione per salvare la loro comunità e l’intera nazione dal disastro. «L’idea della Dichiarazione è anche di disegnare una roadmap per la pace. Vogliamo la fine del massacro ».
Le loro parole testimoniano le ferite scavate da 5 anni di scontri senza quartiere. «In ogni famiglia, almeno una persona è stata uccisa. Ci sono madri che hanno perso 4 figli e i loro mariti». Per poi rimarcare il loro punto di vista: Assad ha sfruttato la rivolta del 2011 per lasciare gli alawiti senza alternative alla guerra. «Questo conflitto è stato scatenato nel nostro nome ma sono soprattutto i nostri ceti popolari che ne pagano il prezzo».
Il documento ha un carattere religioso perché questa è l’essenza della comunità. Il loro culto è esoterico, riservato agli iniziati e celebrato in templi privati. Ha radici antichissime, che affondano nelle dottrine neoplatoniche e gnostiche, con un’entità superiore da cui tutto emana, “come la luce dal sole”: «Nell’alawismo la questione centrale è la natura di Dio. Nell’Islam sciita e sunnita, Dio è un essere superiore che punisce alcuni e premia altri. L’alawismo trascende questa visione. Dio è infinito, indefinibile e rappresentato in ogni essere vivente».
Il loro credo va oltre i canoni musulmani: «Emanazioni di Dio possono essere riscontrate in ogni religione e fede. Per gli alawiti Platone è un santo, come lo sono Pitagora e Alessandro il Grande». Ribadiscono la centralità e sacralità del Corano, anche se seguono una loro interpretazione: «Cerchiamo di leggere il vero significato del Corano. Nel racconto di Noè, ad esempio, nel diluvio vediamo la vita degli umani in questo mondo, mentre l’arca per noi è la Sapienza».
Fino a ora, sono stati considerati una branca della disciplina sciita sulla base dei principi insegnati nel nono secolo da Muhammad Ibn Nussayr. Un aspetto valorizzato dalla famiglia Assad, potenziando i legami con l’Iran degli ayatollah e con gli Hezbollah libanesi, che dal 2011 sono intervenuti a fianco del regime nel conflitto. Il documento invece sancisce che l’alawismo è «un terzo modello dell’Islam e dentro l’Islam. Formiamo una confessione separata, che non è né testuale, né razionale come nel modello rappresentato dai nostri fratelli sciiti e sunniti». I promotori spiegano: «Il nostro scopo è marcare le distanze tra la comunità e Assad, dichiarare la nostra vera identità e fare pace con i sunniti ».
Che speranza ha questo proclama di influire sulle trattative di pace? Lo snodo oggi è quello di definire un’alternativa a Bashar al Assad. I risultati ottenuti sul campo grazie all’intervento russo offrono i presupposti per un cambiamento al vertice che non appaia come una disfatta. E Mosca pare decisa a trovare una soluzione che salvaguardi i suoi successi, anche a costo di sacrificare il dittatore. Una questione ben chiara ai firmatari: «Ai russi importa solo tutelare i loro interessi, non chi sia la persona al comando in Siria». La chiave del potere però è nelle forze armate, guidate da ufficiali alawiti, alcuni dei quali sono anche capi religiosi. Fonti dell’intelligence occidentale hanno rivelato che finora i contatti con i generali siriani per costruire un’alternativa a Bashar sono stati “infruttuosi”. Ma le personalità che hanno scritto il documento si rivolgono pure all’Europa e agli Usa: «L’Occidente deve capire che durante un cambiamento di regime, gli interessi di tutti i gruppi etnici e religiosi vanno tenuti in considerazione. Altrimenti il risultato sarà un genocidio».
( © Lena, Leading european newspaper alliance)


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