Scioperare in galera
Negli ultimi mesi è circolata anche in Italia la notizia che in Germania sono in corso degli scioperi in numerose prigioni dove i detenuti (tedeschi e stranieri) si sono organizzati sindacalmente. Abbiamo chiesto a Joerg Nowak, un ricercatore dell’Università di Kassel che si occupa dell’argomento e segue da vicino la situazione, di spiegarci quanto sta accadendo, certi che si tratti di un fenomeno destinato a diffondersi anche altrove viste le condizioni del lavoro penitenziario in tutta Europa. In Italia, stando agli ultimi dati dell’Associazione Antigone, le mercedi (ossia i salari nel gergo del carcere), che per legge devono essere pari ad almeno due terzi di quelle esterne, sono ferme ai primi anni Novanta e si aggirano intorno ai 2 € e mezzo l’ora.
Come è nato il Sindacato tedesco dei detenuti?
Il Sindacato confederale dei detenuti (GG/BO) è stato fondato nel maggio del 2014 da due detenuti (un tedesco e uno straniero) nel carcere giudiziario di Berlin-Tegel. Da allora è cresciuto fino a raccogliere circa 800 tra iscritti e iscritte in una quarantina di carceri, compresa una sezione in Austria. L’inizio è stato segnato da diverse forme di repressione e di ritorsione da parte delle amministrazioni penitenziarie (blocco della corrispondenza, isolamento degli attivisti). Nel frattempo Oliver Rast, uno dei fondatori, è tornato in libertà, ed è oggi alla guida delle iniziative di lotta. Il sindacato si muove su una linea rivendicativa – estendere anche al lavoro carcerario le condizioni salariali e le norme assicurative vigenti in Germania e garantire il diritto di sciopero – e su una linea informativa: rendere note a un’opinione pubblica del tutto disinformata le condizioni lavorative discriminatorie esistenti in prigione. Per questo la GG/BO ha fondato il giornale trimestrale Outbreak, reperibile anche in rete, che non offre solo informazioni sulle iniziative e i dibattiti interni in corso ma cerca anche di creare collegamenti con le agitazioni sindacali esterne.
Come sono le condizioni di produzione nelle carceri tedesche?
In Germania su circa 66.000 ristretti 41.000 sono impegnati in attività lavorative, gli altri 20.000 sono malati o in pensione. Circa il 28% sono detenuti stranieri (dati Eurostat 2015) e sono proporzionalmente presenti nel Sindacato. In 11 dei 16 Länder federali vige l’obbligo del lavoro. I detenuti percepiscono un salario orario tra 1,50 e 2 €: il salario minimo in Germania è di 8,50 €. Le condizioni nelle carceri tedesche, che sono sempre più spesso enti cogestiti da Stato e da privati, non rispettano dunque le convenzioni stabilite dall’ILO (L’agenzia delle Nazioni Unite a tutela delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori in materia di prison labour/forced labour), che prevedono che i detenuti siano pagati direttamente dalle imprese e con salari adeguati ai normali standard di mercato. Di fatto, la prigione è oggi il luogo dove si sperimentano le più diverse forme di liberismo lavorativo a basse garanzie. I detenuti hanno un’assicurazione che copre la disoccupazione, ma non sono integrati nel sistema pensionistico. Poiché dal punto di vista giuridico non sono considerati ‘prestatori d’opera’, non godono del diritto di sciopero e non possono organizzarsi sindacalmente. Come in altri paesi europei, i detenuti sono impiegati, oltre che nella manutenzione e nel funzionamento delle carceri stesse (lavoro intramurario domestico alle dipendenza dell’amministrazione penitenziaria), nella produzione di manufatti per enti pubblici (dai ministeri alle scuole) e banche, oppure lavorano per imprese private, in particolare per grandi industrie come Siemens, Mercedes Benz e BMW (lavoro intramurario o extramurario per imprese esterne). In questi ultimi anni le prigioni tedesche si sono trasformate in vere e proprie fabbriche gestite secondo criteri manageriali: vengono prodotte componenti delle lavatrici Miele e articoli da giardinaggio per Gardena, alcune organizzazioni di Pronto Soccorso fanno lavare le loro uniformi alle lavanderie dietro le sbarre.
Che forma assumono – possono assumere – gli scioperi in carcere?
I due scioperi indetti nel dicembre 2015 e nel marzo di quest’anno nel carcere giudiziario di Butzbach erano in forma di sciopero della fame e di astensione dalle ore d’aria. Durante uno sciopero della fame il lavoro deve essere obbligatoriamente sospeso per motivi di ordine medico. Un altro tipo di astensione dal lavoro sarebbe equivalso a una rivolta e avrebbe condotto a dure misure repressive. Nello sciopero di dicembre, il primo giorno più di cento detenuti hanno rifiutato il cibo, lo sciopero della fame è stato poi proseguito per dieci giorni da una decina di detenuti. A marzo, già al primo giorno il portavoce degli scioperanti aderenti al sindacato è stato trasferito in un altro carcere a Darmstadt. Il segretario del Sindacato, Mehmet Aykol, è stato messo di fronte alla scelta tra continuare l’attività sindacale o rinunciare alle misure alternative per le quali aveva maturato il diritto. Ha optato per la prima ipotesi. A un altro scioperante sono state dilazionate cure mediche urgenti. E’ inoltre impossibile dare notizie delle agitazioni durante il loro svolgimento. Ciò nonostante, nel caso dello sciopero di dicembre, la rete informativa è riuscita a funzionare comunque e a far sapere delle agitazioni agli attivisti e all’opinione pubblica esterna che sostengono le iniziative.
Gli scioperi tedeschi, ponendo l’accento sull’iniquo trattamento del lavoro penitenziario, ripropongono in forma amplificata la questione di quelle che vengono considerate le forme trattamentali-rieducative privilegiate e mettono in evidenza tutta la problematicità della loro attuazione nel rispetto dei diritti civili dei detenuti.
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Diciamola tutta. Nel 1997 la Papillon-Rebibbia onlus lancia con la cgil una battaglia sindacale sulle mercedi, ferme al 1993, e due suoi iscritti iniziano una vertenza-pilota sul piano giudiziario. Nessuno (ma proprio nessuno!) dell’associazionismo e della cooperazione che pascolano nelle galere si prende la briga di sostenerci. Ai vari e ben pasciuti parassiti del disagio e della sofferenza sociale non gliene poteva fregar di meno della nostra vertenza, per loro era uno dei tanti rompimenti di scatole organizzato dalla Papillon-Rebibbia.
Noi dopo 7 anni trascorsi tra varie udienze e tentativi di affossare tutto, vinciamo la vertenza-pilota con il definitivo pronunciamento della Cassazione. A quel punto, e siamo arrivati nella seconda metà del 2005, mentrte molti avvocati e avvocaticchi legati ai parassiti iniziano a svegliarsi, noi proviamo invece a generalizzare la vertenza con un “sindacato conflittuale”, il quale, dopo un anno circa, resta purtroppo imprigionato dalle false notizie messe in giro da esponenti di Antigone (proprio loro!) che erano entrati a lavorare nella segreteria dell’allora Sottosegretario alla Giustizia del Governo Prodi, Luigi Manconi, e assicuravano a parole che le mercedi sarebbero state immediatamente aggiornate e che nel bilancio di fine anno (2006) sarebbero stati stanziati 27 milioni di euro per pagare gli arretrati alle migliaia di detenuti ed ex detenuti che, in virtù del pronunciamento della Cassazione, ne avevano fatto richiesta.
Ma tant’è…..Il Governo Prodi cadde quasi due anni dopo e le promesse verbali sono rimaste chiacchiere al vento, una vergognosa presa in giro…..
Sono passati altri dieci anni, nel frattempo i capuzielli di Antigone hanno lavorato sino all’autunno del 2015 nel “cerchio magico” di uno dei potentati istituzionali molto (ma proprio molto!) vicino a “mafia capitale”…… e noi detenuti ed ex detenuti siamo ancora qua, a cercare di riprenderci qualcosa di quanto ci è stato sottratto da un’istituzione stupida e violenta qual è la galera! Comunque, benvenuto a chi vorrà aiutarci seriamente.