Referendum scaccia referendum

Referendum scaccia referendum

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Rimandata fino all’ultimo la decisione sulle comunali, anticipata al primo giorno utile la chiusura della revisione costituzionale. E c’è chi teme l’incrocio

La camera non si fermerà nella settimana precedente il referendum del 17 aprile. Lo ha deciso ieri la presidente Laura Boldrini, facendo riferimento a «una prassi non univoca», dopo che maggioranza e minoranze non avevano trovato un accordo sul calendario d’aula. Le opposizioni volevano la pausa, motivandola con la necessità dei deputati di impegnarsi nella campagna elettorale, per un referendum ancora semi sconosciuto. Pd e alleati hanno risposto di no, con l’argomento che in questa primavera è già prevista una pausa per le elezioni amministrative – che si terranno il 5 giugno -, elezioni alle quali i proponenti avevano chiesto invano al governo di accoppiare il referendum.
Chiedendo la pausa, le minoranze – Forza Italia, 5 Stelle, Sinistra italiana e Lega – puntavano anche se non soprattutto a far slittare l’ultimo passaggio della riforma costituzionale. L’ultimo voto parlamentare è previsto – secondo l’articolo 138 della Costituzione – dopo «un intervallo non minore di tre mesi» dal precedente sì. Il senato ha già esaurito la pratica anche con la seconda lettura; la camera ha votato l’ultima volta l’11 gennaio dunque il primo giorno utile potrebbe essere l’11 aprile. Proprio il giorno che ha in mente il governo, per cominciare la discussione in aula e rapidamente finirla (i tempi sono contingentanti e non è più possibile presentare emendamenti) il giorno successivo. Poi, magari, il Pd sarebbe persino disponibile a sospendere i lavori per la campagna elettorale. Per il partito di Renzi, schierato per l’astensione, cambierebbe poco.

Le opposizioni cercheranno comunque di ritardare il voto finale sul disegno di legge Renzi-Boschi di revisione costituzionale: l’ostruzionismo non ha molti margini visti i tempi contingentati nella discussione generale, ma nella fase delle dichiarazioni di voto (oltre che con i richiami al regolamento, le eccezioni sul verbale e gli altri strumenti del filibustering) si può riuscire ad allungare i tempi, difficilmente però oltre mercoledì 13. L’ennesima battaglia parlamentare farà ulteriore ombra al referendum sulle trivellazioni, ma la scelta di Renzi di forzare la mano lascia poche alternative: sicuramente sarà il presidente del Consiglio a esaltare al massimo il passaggio della riforma in parlamento. E vorrà lanciare lui stesso il referendum «confermativo», anche se si tratta di una possibilità lasciata a chi si oppone alla revisione, quando la maggioranza non a raggiunge i tre quinti dei senatori e deputati.
Ed è questo il caso: nell’ultima votazione al senato il disegno di legge Renzi-Boschi si è fermato a 180 sì, malgrado il sostegno dei verdiniani. Né mai in tutti i precedenti quattro passaggi – il primo in senato nell’agosto 2014, poi alla camera nel marzo 2015, poi ancora al senato nell’ottobre dello stesso anno e alla camera nel gennaio 2016 – Pd e alleati (cambiati nel corso del tempo) sono andati oltre la maggioranza assoluta. Il referendum costituzionale dunque si terrà – verosimilmente ad ottobre – perché lo chiederanno i parlamentari di minoranza e anche i cittadini: il comitato del No comincerà a raccogliere le firme nel weekend immediatamente precedente, il 9 e 10 aprile. La sovrapposizione del referendum costituzionale a quello sulle trivellazioni è un modo per il governo per enfatizzare il voto di ottobre, quando dovrà vincere non potendo contare sull’astensione (in quel caso non prevista).
Qualcuno nell’opposizione teme ancora che sia possibile per Renzi anticipare il referendum, costituzionale in estate, accoppiandolo alle amministrative. Anche per questo faceva paura l’indecisione dell’esecutivo sulla data delle comunali, risolta però ieri da Alfano. Ma è uno scenario impossibile ancor più che improbabile: anche forzando al massimo i tempi previsti dalla legge sul referendum – e dopo l’annuncio del comitato del No di voler raccogliere le firme non dovrebbe essere possibile – la prima data utile per il referendum potrebbe essere quella del 19 giugno. Il 5 proprio no.



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