“Contro il mio governo è in atto un golpe vogliono che mi dimetta ma io difenderò Lula”
BRASILIA Nelle ultime due settimane il Brasile è in subbuglio. Dilma Rousseff ne parla nel suo enorme studio da presidente a Brasilia, a cominciare da quello che la riguarda più da vicino: la procedura d’impeachment che si è già messa in moto e minaccia di allontanarla dalla presidenza in meno di un mese. «Legalmente è molto debole. Ed è stata lanciata perché il presidente del Congresso, Eduardo Cunha (nemico della Rousseff, anche se appartiene al Partito del movimento democratico del Brasile, formazione in teoria sua alleata, ndr), ha minacciato il governo: se non avessimo votato contro un’indagine a suo carico, lui avrebbe messo in moto la procedura. Cunha è stato denunciato dalla procura generale della Repubblica perché hanno trovato cinque conti illegali a suo nome».
Lei dice che il Brasile, con questa procedura, potrebbe subire un colpo di Stato.
«In Brasile abbiamo già avuto golpe militari. In un sistema democratico, i golpe cambiano metodo. E un impeachment senza basi legali è un golpe. Rompe l’ordine democratico, per questo è pericoloso».
Ma come reagirà di fronte a una sconfitta? Che cosa farà se dovesse perdere?
«In una democrazia bisogna reagire in forma democratica. Ricorreremo a tutti gli strumenti legali per evidenziare le caratteristiche di questo golpe. Ma vi consiglio di interrogarvi su chi sono i beneficiari di tutto questo: molti di loro non sono ancora nemmeno entrati in scena, rimangono sullo sfondo. Come il caso della divulgazione delle conversazioni (fra lei e Lula, diffuse dal giudice Sérgio Moro, ndr): è una cosa che non si può fare. L’atteggiamento corretto non era divulgare la registrazione, ma inviarla al Tribunale supremo federale, che è l’organo che ha il diritto di indagare su di me. Un giudice non può giocare con le passioni politiche. Nessuno può destituirlo, ma lui in cambio dev’essere imparziale. E poi c’è la faccenda delle dimissioni. Chiedono che mi dimetta. Perché? Perché sono una donna fragile? Non lo sono. La mia vita non è stata così. Vogliono che rinunci per evitare di dover cacciare in modo illegale una presidentessa eletta. Sono convinti che io mi senta ferita, sconcertata, sotto pressione. Ma non mi sento così. Non sono così. Ho avuto una vita molto complicata, figuratevi se non sono capace di lottare adesso. Quando avevo 19 anni sono stata in carcere per 3 anni durante la dittatura, e il carcere di allora non era una cosa da ridere».
Molti hanno criticato la nomina di Lula sostenendo che era semplicemente uno stratagemma giuridico per sfuggire alla giustizia, grazie all’immunità garantita dalla carica di ministro.
«Pensare che diventando ministro sfuggirebbe alla giustizia è vedere un problema dove non c’è. Può essere indagato dai magistrati del Tribunale supremo federale. La verità è che non vogliono che venga al governo. Ma Lula verrà, come ministro o come consigliere: in una maniera o nell’altra, verrà. È mio amico, l’ho aiutato durante i suoi due mandati. Mi piace molto lavorare con lui. Non mi preoccupa minimamente che Lula possa togliere lustro alla mia presidenza.
Una delle conseguenze di questa crisi è la sfiducia assoluta dei brasiliani verso i politici… «È una conseguenza grave, perché quando si comincia a mettere in discussione i politici, in Brasile spuntano fuori i salvatori della patria. Prima si crea il caos e poi arrivano quelli che salvano dal caos. Noi siamo favorevoli a un compromesso, ma si deve fare senza rotture della democrazia, senza tentativi infondati di impeachment».
Teme un’esplosione sociale, considerando la crescente instabilità del paese e la sua progressiva polarizzazione?
«Le esplosioni sociali nascono soprattutto dalla disuguaglianza e dalla povertà. Noi, in forma democratica, negli ultimi anni abbiamo fatto entrare nella classe media 40 milioni di persone e abbiamo riscattato dalla povertà altri 36 milioni».
© EL PAÍS- LENA ( Leading European Newspaper Alliance) ( Traduzione di Fabio Galimberti)
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