Quei preti nella tenda “Noi come i migranti” Ma il paese li ignora

Quei preti nella tenda “Noi come i migranti” Ma il paese li ignora

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AMBIVERE ( BERGAMO) Il tetto è un telo di plastica blu. Siccome fa freddo e c’è vento l’hanno ancorato con le corde a dei blocchi di pietra appoggiati sul sagrato della chiesa, qui, di fronte alla domus pacis che sarebbe l’oratorio di Ambivere. «Prego! Ma non filmate l’interno, per favore», chiede il prete. Dentro la tenda — un gazebo rettangolare — ci sono: quattro materassi con coperte e sacchi a pelo; tre torce elettriche e un piccolo crocefisso di legno; una stufetta, quattro sedie e un tavolo con sopra una copia del Vangelo, bottiglie d’acqua, frutta essicata, un termos e un pc, strumento indispensabile per «poter continuare a organizzare l’attività pastorale ». Perché è vero che per dare l’esempio di come vivono o sopravvivono i migranti, e per scuotere il torpore delle coscienze di chi si volta dall’altra parte, i quattro sacerdoti abiteranno qui dentro 45 giorni, fino a Pasqua, in strada, davanti alla chiesa di San Zenone; ma in tutto questo andranno anche avanti a fare il loro lavoro. Un «lavoro di collegamento », ti spiega il prete, uno del gruppo. Implora di non essere citato, «perché — e questo profilo basso è una delle cose più belle di un’iniziativa interessante anche in quanto scarica di ogni retorica pauperista — abbiamo deciso di non rilasciare interviste…».
Ambivere, duemila abitanti tra l’imbocco della valle San Martino e l’Isola bergamasca. Il pratone leghista di Pontida a tre minuti di macchina; in serata comizio di Salvini a Palazzago, sei chilometri e 700 passi dalla tenda dei preti “migranti”. Il loro slogan? “Ero straniero e mi avete ospitato a casa vostra” (Vangelo di Matteo). Si parte da lì e lì si ritorna. La condizione di chi arriva da lontano e vive senza una casa. Una tenda per rappresentarla plasticamente. Sono passati nove giorni, era il mercoledì delle ceneri: l’inizio della Quaresima. I quattro sacerdoti — don Emanuele Personeni, don Gianluca De Ciantis, don Andrea Testa, don Alessandro Nava; parrocchie di Ambivere, Mapello e Valtrighe — hanno tirato su il gazebo dopo aver vergato una lettera che è un duro atto d’accusa: contro l’indifferenza, il potere politico e economico, l’espansionismo e lo sfruttamento dell’Occidente che ha ridotto in condizioni di disperazione i popoli svantaggiati, oggi in fuga verso i nostri Paesi. Ambivere, dunque. Scrivono i religiosi: “In Quaresima abiteremo una tenda. Un po’ di cibo. Acqua da bere. Un bagno per lavarci. Un materasso per dormire. È più di quanto molti esseri umani possono permettersi. Naturalmente non sarà facile. Abituati ad avere più del necessario, il necessario sembrerà insufficiente”. Non sarà un caso, o forse sì, che il paese è davvero a un tiro di schioppo da quella Pontida luogo iconico del leghismo pre e post migrazioni. Del “padroni a casa nostra” e dell’“aiutiamoli a casa loro “, gli slogan protezionisti sentiti in questi anni di sbandierata intolleranza. Che è diffusa. Sentite Emy, una signora di Mapello di passaggio davanti alla chiesa, quando le chiedi se apprezza l’iniziativa dei sacerdoti: «Contenti loro… Io penserei prima agli italiani, i preti chissà perchéli critica — e taglia in dialetto — “i pensa adoma ai stranieri”, pensano solo agli stranieri» . Le fa eco Carlo Sangalli, studio dentistico su via Papa Giovanni XIII: «Preoccupiamoci dei nostri, poi semmai anche di loro» .
“Noi” e “loro”. Noi che potremmo accogliere, loro che scappano dalla guerra e dalla miseria. Bastano quattro preti accampati, e il paese si divide. Gianni Rottoli si affaccia alla tenda, è arrivato da Bonate Sopra, vuole capire: «Complimenti. È un messaggio forte, pieno di significato » . Il sacerdote, berretta di lana e maglioncione, non importa se è il parroco di Ambivere o quello della vicina Mapello, gli stringe la mano: «Torni a trovarci quando vuole, noi fino a Pasqua siamo qui» . Questa sera si farà vedere anche Nasser, egiziano. Porterà delle pizze perché le sforna (è titolare della pizzeria “Le Piramidi2”, proprio dietro la chiesa). «Io vivo qui da 15 anni, sono stato accolto bene. Ma tanti altri vengono lasciati al loro destino». Senza un tetto, senza una minestra. «Lavoriamo sui migranti da anni» , racconta il sacerdote a Adriana Panseri, incuriosita dal capanno bianco sul sagrato. «A Mapello ne ospitiamo cinque. Vorremmo che ogni paese e ogni diocesi lo facessero» . E invece? Invece “si usano i poveri di casa nostra contro i poveri alla nostra porta. A cominciare — recita la lettera — dalle Regioni fino a arrivare a molte amministrazioni comunali, la risposta è sempre la stessa: per loro non c’e posto”. Nemmeno in tenda, oggi. Solo quattro materassi. Di più non ce ne stanno.


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