Russia e sauditi, c’è l’accordo sul petrolio
Print this article Font size -16+
Prove di diplomazia del petrolio. Russia e Arabia Saudita (con Qatar e Venezuela) annunciano un primo accordo sulla produzione di greggio e il barile scatta al rialzo (brent fino a 35 dollari), ma poi, analizzata con più calma la situazione, torna rapidamente sotto quota 33. Ciò che i ministri del petrolio del primo e del secondo esportatore al mondo (Ali al Naimi e Alexander Novak) hanno deciso ieri a Doha, in Qatar, è di congelare — non di tagliare — la loro produzione ai livelli di gennaio.
Un atto di per sé significativo, visto che da 15 anni un paese Opec (il cartello dei produttori di cui il regno saudita è «azionista di maggioranza») e uno non-Opec non stringevano un’intesa. Ma quasi immediatamente percepito dai mercati come insufficiente (per il momento) a riportare verso l’alto il prezzo del barile, che un anno e mezzo fa era a quota 110-115 dollari. Come mai? Soprattutto perché la principale condizione del «congelamento» riguarda l’adesione all’intesa anche di Iran e di Iraq, ovvero dell’ex numero due dell’Opec (Teheran) e del paese che ne ha preso il posto (Bagdad).
Difficile che ciò possa accadere di punto in bianco: l’Iran è appena ritornato sulla scena petrolifera dopo la fine delle sanzioni occidentali, sta cercando di riguadagnare il terreno perduto (a gennaio produceva 2,99 milioni di barili al giorno contro una capacità di 3,6 milioni) e a più riprese ha sostenuto di non pensare a limitazioni prima di aver raggiunto i suoi obiettivi. Potrebbe essere, tuttavia, che il «messaggero» dell’Opec, il ministro del petrolio venezuelano Eulogio Del Pino, porti oggi a Teheran un impegno dei quattro paesi a un «congelamento» non immediato. Si vedrà. Nei fatti resta comunque che così facendo Riad mette in serio imbarazzo diplomatico Teheran, il suo arcirivale regionale, mentre, dall’altra parte, l’accordo costituisce un’apertura di fatto nei confronti di Mosca.
Un evento non scontato viste le reciproche incomprensioni «energetiche» del passato e visto che nel conflitto siriano i due paesi sono divisi e sostengono parti avverse. Il «congelamento» è un passo di cui la Russia non potrà non essere grata date le difficoltà finanziarie in cui versa (e che iniziano a contagiare anche il regno saudita): petrolio e gas contano per circa il 70% delle sue esportazioni e coprono all’incirca metà del budget federale.
L’interesse ad un «ribilanciamento» del mercato petrolifero, tuttavia, è ormai comune a quasi tutti gli attori del mercato. Stati Uniti inclusi, che grazie alla rivoluzione tecnologica del «tight oil» sono diventati i primi produttori mondiali (ma la classifica dipende dalle definizioni di petrolio che vengono adottate). Secondo uno studio della società di consulenza Deloitte, a questi livelli di prezzo circa un terzo dei produttori indipendenti di petrolio e gas a stelle e strisce rischia nel 2016 il fallimento. Il primo timido passo per un ribaltamento della situazione è stato fatto, ora però dovranno seguirne altri ben più coraggiosi.
Un atto di per sé significativo, visto che da 15 anni un paese Opec (il cartello dei produttori di cui il regno saudita è «azionista di maggioranza») e uno non-Opec non stringevano un’intesa. Ma quasi immediatamente percepito dai mercati come insufficiente (per il momento) a riportare verso l’alto il prezzo del barile, che un anno e mezzo fa era a quota 110-115 dollari. Come mai? Soprattutto perché la principale condizione del «congelamento» riguarda l’adesione all’intesa anche di Iran e di Iraq, ovvero dell’ex numero due dell’Opec (Teheran) e del paese che ne ha preso il posto (Bagdad).
Difficile che ciò possa accadere di punto in bianco: l’Iran è appena ritornato sulla scena petrolifera dopo la fine delle sanzioni occidentali, sta cercando di riguadagnare il terreno perduto (a gennaio produceva 2,99 milioni di barili al giorno contro una capacità di 3,6 milioni) e a più riprese ha sostenuto di non pensare a limitazioni prima di aver raggiunto i suoi obiettivi. Potrebbe essere, tuttavia, che il «messaggero» dell’Opec, il ministro del petrolio venezuelano Eulogio Del Pino, porti oggi a Teheran un impegno dei quattro paesi a un «congelamento» non immediato. Si vedrà. Nei fatti resta comunque che così facendo Riad mette in serio imbarazzo diplomatico Teheran, il suo arcirivale regionale, mentre, dall’altra parte, l’accordo costituisce un’apertura di fatto nei confronti di Mosca.
Un evento non scontato viste le reciproche incomprensioni «energetiche» del passato e visto che nel conflitto siriano i due paesi sono divisi e sostengono parti avverse. Il «congelamento» è un passo di cui la Russia non potrà non essere grata date le difficoltà finanziarie in cui versa (e che iniziano a contagiare anche il regno saudita): petrolio e gas contano per circa il 70% delle sue esportazioni e coprono all’incirca metà del budget federale.
L’interesse ad un «ribilanciamento» del mercato petrolifero, tuttavia, è ormai comune a quasi tutti gli attori del mercato. Stati Uniti inclusi, che grazie alla rivoluzione tecnologica del «tight oil» sono diventati i primi produttori mondiali (ma la classifica dipende dalle definizioni di petrolio che vengono adottate). Secondo uno studio della società di consulenza Deloitte, a questi livelli di prezzo circa un terzo dei produttori indipendenti di petrolio e gas a stelle e strisce rischia nel 2016 il fallimento. Il primo timido passo per un ribaltamento della situazione è stato fatto, ora però dovranno seguirne altri ben più coraggiosi.
Tags assigned to this article:
Alexander NovakAlì al-NaimiArabia Sauditaguerra del petrolioOpecpetrolioprezzo del petrolioproduzione di greggioQatarrussiaVenezuelaRelated Articles
Putin in campo: “Potenze straniere contro di me”
Il partito lo candida per acclamazione al Cremlino: “I nemici finanziano l’opposizione” Via alla corsa per la presidenza russa dopo i giorni dei fischi e delle contestazioni
Le sanguisughe della ricchezza
Il nuovo capitalismo rompe la dinamica «evoluzione, sviluppo, progresso» a favore dello scippo privato delle risorse, della terra e dei servizi sociali. Le conseguenze sono la crescita della povertà e la cacciata delle popolazioni dai territori espropriati
Yanis Varoufakis: disobbediente e costruttivo
Intervista a Yanis Varoufakis. Oltre i liberismi, i sovranismi e i populismi che vogliono recuperare un passato che non è mai esistito
No comments
Write a comment
No Comments Yet!
You can be first to comment this post!