“Appalti e riciclaggio l’economia d’Italia condizionata dalle mafie”
IL SANGUE non macchia i soldi. Dimenticate morti ammazzati e regolamenti di conti, le mafie 2.0 seminano più tossine nell’economia che cadaveri nelle strade. Si alleano con «le devianze» dell’apparato dello Stato. Inquinano il tessuto imprenditoriale e i ceti professionali di intere aree del territorio, in Italia e sempre più all’estero, dove la ‘ndrangheta calabrese assurge al ruolo di «holding mondiale del crimine ». È capillare e severa, l’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia. In 275 pagine, si disegna lo scenario di organizzazioni criminali che assumono «la morfologia caratteristica dei gruppi societari internazionali». Come se fossero multinazionali della Silicon Valley. Attraverso una «capogruppo », che conserva quasi sempre il suo «centro decisionale» nelle regioni d’origine Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, le organizzazioni mafiose «controllano e dirigono, secondo un disegno unitario, molteplici business criminali sempre più interdipendenti ». Le mafie, racconta l’analisi coordinata dal direttore della Dia, il generale Nunzio Ferla, sono sempre più in grado «di intessere profonde relazioni con la zona grigia ».
IL CANCRO NELL’ECONOMIA
La criminalità organizzata ha messo in piedi «un ciclo economico- criminale in grado di alterare il corretto processo di sviluppo dell’economia nazionale ed estera». Ecco perché sarebbe «miope limitare la percezione» di questo assedio «alle sole evidenze giudiziarie»: il fenomeno è ben più «complesso» e «affonda le radici spesso anche nei gangli più nascosti della pubblica amministrazione e dell’imprenditoria, con un intreccio profondo tra mafia e corruzione che impone, a tutti i livelli istituzionali e della società civile, un impegno sempre maggiore». Ogni mafia ha ormai esteso le proprie ramificazioni in altre regioni d’Italia. Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, sono diventate terra di conquista, mentre si affacciano altre figure criminali, diverse e autonome da quelle storiche. La Dia cita l’inchiesta della Procura di Roma su Mafia capitale: una realtà che presenta «caratteri originali, con genesi propriamente romana, non assimilabili a quelli delle consorterie tradizionali ».
LA PISTA DEL DENARO
La Dia e il Nucleo di polizia valutaria della Finanza lavorano in stretto contatto con l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia che segnala le operazioni sospette. Dallo scorso maggio, sottolinea il generale Ferla a Repubblica, «con il nuovo protocollo d’intesa siglato con la Procura nazionale guidata da Franco Roberti e grazie a un nuovo sistema informatico, gli analisti della Dia possono verificare fino in fondo le segnalazioni». Nei primi sei mesi del 2015, la Banca d’Italia ha inviato oltre 40 mila “comunicazioni”.
Dai controlli sono scaturite 132 mila operazioni sospette: bonifici, versamenti e prelievi in contanti, prelievi allo sportello, bonifici esteri. Il maggior numero, 28 mila, in Lombardia. Seguono Lazio (15 mila) e Campania (14 mila).
E poi ci sono gli appalti: nel primo semestre del 2015 la Dia ha effettuato 89 accessi a cantieri in tutta Italia, 22 dei quali a opere collegate all’Expo di Milano. All’esito del monitoraggio sono state emanate 78 informative interdittive, 8 delle quali per appalti dell’Expo. Ma dal giugno 2009, quando sono iniziati i lavori per l’esposizione, i controlli hanno portato complessivamente a 108 interdittive. La maggior parte di questi provvedimenti ha riguardato imprese infiltrate dalla ‘ndrangheta e per il 60 per cento aziende specializzate nel movimento terra.
L’IMPERO DELLE ‘NDRINE
Il traffico internazionale di cocaina è il core business della ‘ndrangheta. Ma già da un pezzo le ‘ndrine hanno messo gli occhi e le mani sui grandi appalti. Non solo in Calabria. Il 9 gennaio 2015 il Tar del Lazio ha confermato lo scioglimento del Comune di Sedriano, in provincia di Milano: il primo caso in Lombardia. I clan calabresi sono «in grado di intessere profonde relazioni con la cosiddetta zona grigia, ossia con quell’area istituzionale fortemente articolata dove operano, a vario titolo e responsabilità, accanto a soggetti economici, siano essi vessati o collusi, anche devianze dell’apparato amministrativo e o burocratico, statale e locale».
LA MORSA DI COSA NOSTRA
La mafia siciliana, ancora oggi, si fa forte di un «processo di infiltrazione negli apparati dello Stato». Oltre alle attività illecite tradizionali, le cosche ricercano «l’acquisizione dei consensi sia nel mondo dell’imprenditoria che delle pubbliche amministrazioni ». La Dia sottolinea la «connaturata capacità» di Cosa nostra di creare «situazioni di opacità, promuovendo un’opera di delegittimazione di quanti tentino di ostacolarla e attirando, allo stesso tempo, esponenti del sistema politico, economico e amministrativo». Una strategia alla quale si aggiunge la corruzione, «anche di matrice non mafiosa ». Anche Cosa Nostra, come già la camorra, ha messo le mani sull’affare dei rifiuti. Tra i settori da monitorare, la Dia indica anche «i progetti legati allo sviluppo di fonti energetiche alternative, l’emergenza ambientale e le attività ad alto contenuto tecnologico».
I BROKER DELLA CAMORRA
Pur frammentata in 110 clan, la camorra dispone di una «capacità di condizionamento culturale delle fasce più deboli della popolazione», riuscendo spesso a «porsi come punto di riferimento unitario e alternativo allo Stato». I clan hanno manifestato una «spiccata vocazione ad infiltrarsi, anche fuori regione e all’estero, negli apparati economici e finanziari », così da «atteggiarsi a soggetto economico in grado di operare sul mercato legale per acquisire una posizione dominante, se non monopolistica, di attività economiche». In alcuni settori, come i traffici di rifiuti, stupefacenti, armi, nella contraffazione di documenti e banconote, i clan della camorra hanno dimostrato di saper utilizzare «tecnologie all’avanguardia». Malavitosi, ma al passo con i tempi. La mafia 2.0 uccide e inquina, non solo d’estate.
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