Sul tavolo il nodo del destino di Assad all’ombra della sfida tra Teheran e Riad

Sul tavolo il nodo del destino di Assad all’ombra della sfida tra Teheran e Riad

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È COMINCIATA male la conferenza sulla pace in Siria.

Alla seduta inaugurale di venerdì scorso, al Palazzo delle nazioni di Ginevra, il diplomatico italo-svedese Staffan de Mistura si è trovato davanti soltanto i governativi di Damasco.

I RIBELLI raccolti nell’Alto comitato per i negoziati (Hcn) erano rimasti a Riad, in Arabia Saudita. Dove dichiaravano che per sedersi allo stesso tavolo con gli avversari esigevano come condizione preliminare la cessazione dei bombardamenti sulle popolazioni civili e l’invio di aiuti nei centri isolati e assediati dai governativi. Poi si sono affidati alla risoluzione sulle misure umanitarie adottata in dicembre del Consiglio di Sicurezza, e hanno raggiunto Ginevra. Ma si sono ben guardati dal raggiungere il Palazzo delle nazioni, dove li attendevano gli uomini di Damasco. Sono rimasti nei loro alberghi. Con Staffan de Mistura che faceva la spola tra gli uni e gli altri, scandendo puntualmente annunci ottimistici. I quali suonavano come esortazioni. Se la situazione dovesse protrarsi a lungo la conferenza inaugurata e mai cominciata potrebbe risultare una bolla di sapone.

È quello che pensa uno dei protagonisti, assente dai negoziati, ma ben presente tra le quinte. Il presidente iraniano Hassan Rouhani è scettico. In Siria ci sono tanti gruppi in guerra con il governo, ma anche tra di loro. Sparano sugli uomini di Bashar Al Assad, il nemico comune, ma si uccidono anche tra di loro. Le ingerenze internazionali non si contano. E i mercanti d’armi, spesso appartenenti a paesi professori di morale, fanno ottimi affari.

Al di là delle esitazioni fra uomini che si uccidono da cinque anni (circa trecentomila morti) e che devono compiere un comprensibile sforzo per trovarsi faccia a faccia con gli assassini, esiste un problema essenziale e personale: quello di Bashar Al Assad. Il raìs di Damasco e prima di lui il padre Hafez, un generale d’aviazione che prese il potere nel 1970, hanno ucciso decine di migliaia di avversari. L’ordine e un certo successo economico sono costati sangue e prigione. Ma l’insurrezione iniziale contro la dittatura, sulla scia delle “primavere arabe”, ha provocato l’arrivo in Siria di gruppi salafiti, jihadisti, o ex soldati dell’iracheno Saddam Hussein, appena sconfitto dagli americani, che hanno dato vita a un mosaico di movimenti spesso rivali. Si è formato un Al Qaeda siriano (Al Nusra) e lo Stato islamico ha esteso le sue zone di controllo in punti della valle del Tigri e dell’Eufrate, diventando un “califfato” sunnita fanatico sul piano religioso e intransigente verso l’“eresia” degli sciiti. Al Qaeda e lo Stato Islamico, e altri gruppi minori giudicati terroristi sono esclusi dall’Alto comitato per i negoziati ammesso alla conferenza di Ginevra. Ma le altre formazioni sono influenzate più o meno direttamente dalle potenze della regione.

Alle spalle dei partecipanti alla riunione vi sono le due grandi coalizioni. L’Iran di Rouhani, insieme alla Russia di Putin e al fragile governo dell’Iraq (con l’importante appendice degli Hezbollah libanesi) sono apertamente in favore di Bashar Al Assad. E i loro soldati combattono insieme all’esercito di Damasco. È l’alleanza sciita, alla quale partecipa la Russia, tradizionale alleata della Siria, con la quale confina il Caucaso abitato da musulmani. Inoltre il porto siriano di Tartus, sul Mediterraneo, è da tempo un attracco ospitale per la flotta russa ansiosa di raggiungere i mari caldi. Putin ha esteso la sua presenza a tutta la zona di Latakia, dove sulle alture vicine, abitano gli alawiti, nucleo forte del regime di Damasco. La fine di Assad provocherebbe lo smarrimento tra i suoi seguaci, in particolare nella setta minoritaria degli alawiti, diventata potente negli ultimi decenni.

La conferenza di Ginevra ha come tema principale quello della transizione. Come rimuovere Bashar Al Assad dal potere? La coalizione dominata da iraniani e russi ritiene che con il recente intervento militare di Putin il raìs di Damasco si sia rafforzato. Ed è quel che pensano anche molte capitali occidentali un tempo decise nel condannare il “boia Assad”, ritenuto adesso un elemento capace di portare la stabilità e arginare, in quanto “laico”, il fanatismo religioso. L’accordo sul nucleare iraniano, che ha ridato forza e prestigio a Teheran, ha rafforzato questa tesi. Gli ayatollah giudicano essenziale che un loro alleato (alawita, quindi appartenente a una religione alleata degli sciiti) governi a Damasco. La capitale siriana dà una continuità geografica a un asse sciita che va da Teheran a Beirut, dove gli Hezbollah sono alleati sicuri, passando da Bagdad e appunto da Damasco.

Non rivale, ma concorrente, è l’altra grande coalizione guidata dagli Stati Uniti, con la Francia, la Gran Bretagna e altri paesi occidentali. E tra quelli mediorientali l’Arabia Saudita, principale rivale dell’Iran e campione del campo sunnita. La tenzone tra le due massime comunità dell’Islam (gli sciiti sono valutati il 20 per cento del mondo musulmano contro l’80 per cento dei sunniti, ma sono concentrati in Medio Oriente) non ha sempre un carattere strettamente religioso. Riguarda piuttosto il potere. L’influenza nella regione. La rivalità si è riaccesa in un Medio Oriente che sta ridisegnando i confini tracciati dalle potenze coloniali (Inghilterra e Francia) alla fine dell’Impero ottomano dominante.

Il micidiale gioco siriano è intricato. L’aviazione russa colpisce in particolare alcuni ribelli, ma non quelli che alimentano la lotta intestina tra i gruppi dell’opposizione. Risparmierebbe lo Stato islamico, ad esempio, che frena l’azione delle altre formazioni anti-Assad. Mentre la coalizione guidata dagli americani picchia sullo Stato islamico. È una complicata politica attuata con le bombe. Un’azione altrettanto ambigua risulterebbe quella saudita. Alcune comunità del regno non lesinerebbero gli aiuti allo Stato Islamico al quale le forze reali non concedono tregua.

In sostanza una coalizione, quella russo-iraniana, è fedele a Bashar Al Assad. Se transizione ci deve essere, va realizzata attraverso una procedura che possa salvare il regime di Damasco. Il suo crollo lascerebbe il paese in preda a gruppi fanatici. L’Arabia saudita, e con essa i ribelli dell’Alto comitato per i negoziati, vogliono invece una rapida fine di Assad. Esigono una procedura che non gli sia favorevole. Quella di Ginevra, non ancora veramente cominciata, è una conferenza indispensabile della quale, però, non si riesce a immaginare la conclusione.



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