La rabbia dei cassintegrati Alcoa, dimenticati da Palazzo Chigi
CAGLIARI. Grande mobilitazione ieri dei lavoratori dell’Alcoa di Portovesme. Una giornata di lotta promossa da Cgil, Cisl, Uil e dalla Rsu per protestare contro il protrarsi dello stallo nella vertenza per il riavvio dello stabilimento.
Dopo le azioni dei giorni scorsi (il blocco per alcune ore della statale 131 alle porte di Cagliari e il sit-in nell’aeroporto di Elmas), ieri duecento operai di Alcoa e delle aziende dell’indotto che gravitano intorno alla fabbrica hanno invaso il centro di Cagliari. Un corteo si è snodato per le vie del centro sino alla sede del consiglio regionale. Qui i lavoratori hanno bloccato l’ingresso del palazzo, impedendo lo svolgimento della seduta in programma per la mattinata. Sono riusciti a passare soltanto gli impiegati che entravano alle 8. Dopo l’arrivo degli operai Alcoa, le porte sono state sbarrate e tutti i consiglieri sono rimasti fuori, compreso il presidente dell’aula, il Pd Gianfranco Ganau.
«Un’azione simbolica — l’ha definita Bruno Usai, dei chimici Cgil — per indurre la politica regionale a scendere in campo. Bisogna chiedere al governo Renzi che crei le condizioni perché il gruppo Glencore, interessato all’acquisto dello stabilimento, possa gestire la fabbrica a costi accettabili e in un quadro di garanzie stabile. Bisogna sollecitare l’esecutivo nazionale perché nomini al più presto un commissario che prenda in mano la situazione. Non c’è più tempo da perdere». «Vogliamo — spiega Romeo Ghilleri (Fsm-Cisl) — che per una volta i consiglieri regionali lascino da parte le sigle di partito e ci offrano sostegno pieno».
L’intervento del governo è decisivo. I manager americani di Alcoa, uno dei colossi mondiali dell’alluminio, hanno chiuso lo stabilimento. Gli impianti sono stati bloccati e tutti i dipendenti sono stati messi in cassa integrazione. La giunta regionale, presieduta dal Pd Francesco Pigliaru, si è impegnata, insieme con il governo, a trovare per la fabbrica una nuova proprietà. Finora gli unici a essersi fatti avanti sono gli svizzeri di Glencore. Anche per loro, però, esiste lo stesso problema che aveva Alcoa: il costo dell’energia, che in Sardegna è molto più alto (per motivi legati all’inadeguatezza delle infrastrutture) rispetto a ogni altra parte d’Italia e d’Europa.
Alcoa è rimasta in Sardegna sino a quando sull’energia ha ottenuto cospicui sconti dal governo. Quando la Ue è intervenuta per annullare il ribasso dei costi energetici concesso agli americani — ribasso che le autorità di Bruxelles considerano un’inaccettabile alterazione delle regole della concorrenza, Alcoa, dovendo pagare intero il prezzo dell’energia, ha bloccato le linee produttive e ha mandato tutti a casa. Glencore chiede alla Regione e a Renzi che, in qualche modo, il gap infrastrutturale che fa lievitare i costi delle imprese che operano in Sardegna (nell’isola, ad esempio, non arriva il metano) sia ridotto o abbattuto. Sinora, sostengono gli svizzeri, né dalla Regione né dal governo è arrivata una risposta convincente. Quindi stallo: Glencore non si decide a subentrare ad Alcoa e gli operai restano senza lavoro.
Vista la rigidità della Ue, la partita non è facile. Ieri, dopo il blitz degli operai, i capigruppo di tutti i partiti in consiglio regionale hanno chiamato in causa il governo: «Chiediamo che il presidente del consiglio intervenga in prima persona per dare risposta alla vertenza. Se il problema è il costo dell’energia, vanno favoriti accordi bilaterali con l’Enel, già realizzati in situazioni analoghe, che consentano di creare a Portovesme le condizioni per un’immediata ripresa della produzione».
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