Mosul, l’Is ha distrutto anche il monastero di Sant’Elia

Mosul, l’Is ha distrutto anche il monastero di Sant’Elia

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LA tragedia senza fine del patrimonio monumentale, architettonico e artistico, dell’Iraq, come quello della Siria, conosce un’ennesima prova, sulla base delle obiettive immagini satellitari, del feroce e spietato accanimento dell’Is contro ogni testimonianza di una, pur se difficile e complessa, convivenza di multiculturalità nelle regioni settentrionali dell’antica Mesopotamia.

A esser testimoniata in modo inequivocabile, tra il turbinio di notizie di dubbia autenticità da una guerra mediatica senza paragoni anche nella storia recente, è ora la distruzione del più antico luogo sacro del cristianesimo orientale di Mesopotamia, il monastero di Sant’Elia, eretto su una collinetta presso Mosul. Risalente alla fine del V secolo, già danneggiato e profanato dalle truppe d’occupazione americane che poi avevano provveduto a parziali restauri, sarebbe stato distrutto nell’agosto del 2014 con l’usuale tecnica dell’uso congiunto di pale meccaniche ed esplosivi per ottenere un radicale annientamento di ogni resto delle antiche strutture.

Si è calcolato, sulla base di pur parziali dati forniti da denunce di cittadini locali e di monaci in fuga, che oltre una settantina tra chiese, monasteri e istituzioni cristiane dell’Iraq settentrionale sono stati oggetto di danneggiamenti e distruzioni, spesso totali, a opera dell’Is. Eventi distruttivi che hanno colpito indistintamente i luoghi sacri della millenaria presenza di varie confessioni religiose cristiane: dalla chiesa assira d’Oriente a quella caldea, da quella armena ortodossa a quella ortodossa siriaca, da quella sira cattolica a quella armena cattolica.

In alcuni casi, secondo notizie spesso incontrollate, si sarebbero limitati a dissacrazioni gravi, come il monastero di San Giorgio della chiesa nestoriana del X secolo, a nord di Mosul, profanato in tutti i suoi simboli della fede cristiana e poi adibito a luogo di detenzione. O il monastero di Mar Behnam, presso Nimrud, dov’erano custoditi preziosi manoscritti sacri, con ogni probabilità perduti, dispersi o messi sul mercato antiquario internazionale. Questo era un luogo sacro esemplare delle tormentate vicissitudini di una fede contrastata e perseguitata: il monastero era stato eretto dove la tradizione voleva essere avvenuto il martirio del principe sasanide Behnam e della sorella Sara, nati di fede zoroastriana e convertiti al cristianesimo da San Matteo, e fu un centro importante per lo sviluppo e la diffusione del fiorentissimo monachesimo orientale. L’angoscia impotente degli uomini di fede e degli uomini di scienza di fronte a tale strazio del patrimonio culturale dell’umanità e delle testimonianze più significative della tolleranza e del rispetto per la diversità delle culture è ben riassunta dalle disperate parole di un giovane studioso assiro, Nicholas al-Jeloo: «L’Is sta distruggendo il ricco tessuto culturale di questo territorio e gli aspetti multistrato, multilingue e multietnici della nostra società: non è solo il nostro patrimonio, ma è il patrimonio di tutto il mondo. Era parte della nostra storia e non esiste più».

 



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