L’ultimo cineasta della generazione del «noi»
Voleva essere ricordato alla Casa del Cinema di Roma Ettore Scola, «come se fosse una festa». E così da stamattina sarà lì la camera ardente dove amici, parenti e colleghi potranno salutare «l’ultimo dei grandi della Commedia all’Italiana», come lo definisce l’amico e collaboratore Giacomo Scarpelli, che con lui ha scritto La cena, Romanzo di un giovane povero e Concorrenza sleale, quest’ultimo sceneggiato anche insieme al padre Furio, un altro dei padri della commedia all’italiana che con Scola ha lavorato a film come C’eravamo tanto amati o La terrazza.
«È stato il maestro di tutti noi, tutti gli dobbiamo qualcosa», ha infatti detto Carlo Verdone del regista e sceneggiatore, il cui ultimo film risale appena a tre anni fa, quando a Venezia era stato presentato fuori concorso Che strano chiamarsi Federico, il suo omaggio al collega Fellini.
Tutto era iniziato sulle pagine del Marc’Aurelio, che aveva riunito tante delle future penne e registi della commedia all’italiana e dove è avvenuta la conoscenza fra il regista di Una giornata particolare con un altro grande nome di quella famiglia allargata: Steno. Suo figlio, Enrico Vanzina, ricorda infatti che i due «sono stati molto amici per tutta la vita», e che Scola «aveva una piccola venerazione per papà come umorista».
«Ettore — continua Vanzina — è entrato molto presto a casa nostra, quando noi eravamo piccolissimi: faceva lo sceneggiatore aggiunto di Un americano a Romae veniva a scrivere con nostro padre, per cui la nostra è un’amicizia che parte da lontanissimo».
«Era veramente l’ultimo di quel mondo, di quella generazione», ha osservato Sergio Castellitto, protagonista insieme a Diego Abatantuono di Concorrenza sleale. «È stato il mio maestro, forse la figura più importante della mia vita al cinema».
Sofia Loren, invece, ha affermato di essergli grata: « Mi ha regalato la possibilità di interpretare un film straordinario che amo molto: Una giornata particolare al fianco di Marcello Mastroianni».
Ultimamente, racconta Giacomo Scarpelli, Scola «aveva assunto un ironico distacco dalla vita intorno a sé, la guardava in modo sorridente, come chi in fondo è soddisfatto di tutto ciò che ha vissuto, di quello che ha avuto e soprattutto di ciò che ha dato. Allo stesso tempo ha mantenuto un’attenzione partecipe: la matrice era sempre quella della concentrazione sulla realtà che ci sta intorno per poi reinterpretarla e reinventarla con ironia, divertimento e parodia». La musa di quel cinema, Stefania Sandrelli, sottolinea ciò che Scola le ha trasmesso: «La meraviglia della collaborazione nel nostro lavoro, della condivisione, del sostegno, il privilegio e la magia di fare le cose insieme. Avesse dovuto scegliere una parola su tutte, questa parola sarebbe stata ‘noi’».
E lo stesso mette in evidenza Scarpelli: «Apparteneva a una generazione di cineasti che non usavano l’ ’io’, ma il ’noi’. Lavoravano insieme, ed erano abituati a farlo tenendosi un passo indietro rispetto alle storie che raccontavano. Valeva per lui come per tanti altri: Monicelli, mio padre, Age. È il principio di Flaubert: un autore è tutto nelle proprie opere, addirittura deve dare l’idea di non essere mai esistito. Così da un lato abbiamo le opere di Ettore, con cui continueremo a giudicarlo positivamente perché ha raccontato la storia d’Italia, e dall’altro ciò che era umanamente, come amico, come persona. In questi ultimi anni dopo che è morto mio padre lui è rimasto il mio punto di riferimento. Gli ho voluto molto bene».
Scola è morto la sera del 19 gennaio, a 84 anni, al Policlinico di Roma dove era ricoverato.
Enrico Vanzina ricorda che lui e il fratello Carlo hanno ricevuto la sua ultima telefonata a Natale, per gli auguri: «ci ha fatto molto effetto, perché non lo faceva mai. Non chiamava per fare smancerie. È una cosa che mi commuove molto, perché adesso abbiamo proprio la sensazione che fosse una telefonata per darci l’ultimo saluto».
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