Il tonfo delle Borse mondiali Banche giù, Milano cede il 4,8%

Il tonfo delle Borse mondiali Banche giù, Milano cede il 4,8%

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NEW YORK Le Borse europee polverizzano in un giorno 233 miliardi di capitalizzazione. Wall Street si avvia a chiudere la quarta settimana consecutiva di perdite. L’inquietudine dei mercati finanziari sta diventando ansia, allarme su scala mondiale. «All’orizzonte ci sono rischi maggiori del previsto per l’economia globale», sintetizza Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, con una battuta dal World economic forum di Davos.
Come capita spesso nei momenti di incertezza, anche ieri si è allargato lo spread, cioè la differenza, tra i tassi di interesse tra il Btp a dieci anni e il bund tedesco. Chiusura a 117 punti base contro i 101 dell’altro giorno. Martedì scorso il Fmi aveva stimato una crescita su scala mondiale del 3,4% per il 2016 e del 3,6% per il 2017, limando le previsioni precedenti dello 0,2%. Le Borse seguono, però, altre piste. Alcune di portata nazionale, come il listino di Milano, ieri affossato (-4,83%) dal collasso del comparto bancario. Alcuni titoli sono sotto pressione ormai da settimane. Le quotazioni di Monte dei Paschi di Siena (-22,2%), Carige (-17,8%) e Banco Popolare (-10,8%) ieri sono state bloccate per eccesso di ribasso. Pesano le preoccupazioni sulle sofferenze e su un possibile intervento della Bce. Ieri, però, Danièle Nouy, presidente del board di supervisione bancaria della Banca centrale europea ha dichiarato «non sono previste azioni sull’Italia».
Le difficoltà dei costruttori di auto, come Volkswagen (-5%) o Fiat-Crysler (-6,3%) rimandano al contesto internazionale. La volatilità è generalizzata: Londra (-3,46%), Francoforte (-2,82%) , Parigi (-3,45%) e infine Wall Street che ha ceduto l’1,%. I trenta titoli che compongono l’indice Dow Jones sono tutti in perdita dall’inizio dell’anno. Nel paniere ci sono le blue chip dell’energia, come Exxon o Chevron, ma anche beni di largo consumo come Coca Cola, McDonalds o Nike.
Questo significa che il crollo record del petrolio, ieri sceso sotto i 26,55 dollari al barile a New York, spiega solo in parte la crisi della finanza. Gli Stati Uniti sono il caso esemplare: da una parte le imprese petrolifere perdono quota, ma il risparmio sulla benzina dovrebbe liberare nuovi spazi per i consumi. Ma se Exxon e Nike calano simultaneamente, vuol dire che qualcosa ancora sfugge. È possibile che siano in corso aggiustamenti, «correzioni» di listini sopravvalutati. Ma non è da escludere che le Borse stiano anticipando un ridimensionamento dell’economia planetaria. Sulla mappa, la Cina resta l’area più critica: il ritmo di crescita sta rallentando, anche se si mantiene ancora al di sopra del 6%. Il petrolio, invece, sembra sfuggire alla logica del mercato. L’Arabia Saudita e gli altri Paesi del Golfo stanno aumentando l’offerta per tagliare la strada allo shale gas americano e, soprattutto, al rientro dell’Iran nella partita petrolifera.
Giuseppe Sarcina


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La scelta della Cina di rallentare la propria crescita fa parte di una più generale trasformazione della propria economia – basata sulle manifatture votate all’export e sugli investimenti diretti da parte dello Stato – in qualcosa di diverso: meno dipendenza dalle esportazioni, riforma del credito, salari più alti e aumento dei consumi interni.

In definitiva, la Cina compie un ulteriore passo nella modernità .

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