PECHINO. LI DAN fa il muratore, ha 31 anni e sta imparando a vivere con il pancione. All’inizio della lezione l’istruttore gli assicura un pallone da basket sul ventre, stringe le bende e poi lo segue per strada e al supermercato. L’obbiettivo è rientrare in classe senza che la sfera sia stata sfiorata da un ostacolo, o da qualcuno. Se la palla d’allenamento fosse un feto, ogni colpo potrebbe risultare letale.
Essere un “mammo” attento, in Cina, è un esercizio difficile anche per chi ha il fisico da lottatore. Nella metropolitana la folla può calpestare chiunque: gli allievi del corso per “buoni padri e mariti buoni”, organizzati a Pechino nel quartiere di Haidian, dopo qualche giorno già camminano a piccoli passi, proteggendo il finto ventre con la mano. I migliori si tengono anche la destra sulla schiena per alleggerire il peso simulato sulla colonna vertebrale ed evitano piegamenti improvvisi. Il livello progredito prevede l’uso delle bambole. Gli studenti delle lezioni di “morale maschile” imparano a fare il bagnetto ai bebè di plastica: cambiano il pannolone, aspettano che l’acqua sia tiepida per lavare le natiche, calmano gli arrossamenti con il borotalco.
Un’azienda di giocattoli del Guangdong ha fornito la scuola di bambole che, se maneggiate in modo maldestro, strillano. Chi spinge a gridare il proprio prototipo di neonato, deve cominciare da capo le pulizie. «Per i maschi cinesi – dice il professor Fang Gang, docente di sessuologia all’università di Pechino – il problema più imbarazzante resta però la vergogna. Apparire materni è un marchio di debolezza, collaborare agli impegni domestici è il certificato di una sottomissione sessuale. La maggioranza degli iscritti continua a chiedere anonimato e riservatezza ».Altri istituti, caldeggiati dalle autorità comuniste, si concentrano sulla formazione di “partner rispettosi e padri esemplari”. I corsi durano tre giorni e spiegano ai maschi «come si parla e come ci si comporta in una famiglia contemporanea». La prima regola è «non menare le mani», la seconda è «rinunciare alla scurrilità». Per la generazione dei “figli unici”, assuefatti agli abusi della propria dittatura da “piccoli imperatori”, apprendere il rispetto degli altri è uno shock. Negli ultimi quarant’anni hanno reagito a calci e a pugni ad ogni confronto famigliare, imponendo il ricatto della propria rarità.
Per secoli il maschio cinese si è sentito padrone della femmina, ancora usata a letto, in casa e in campagna. L’addio a quello che il ”Quotidiano del Popolo” ha definito «l’impero assoluto del maschio», con il boom dei corsi di Stato di “morale maschile”, è così davvero una rivoluzione. La svolta, a fine dicembre. L’Assemblea nazionale del popolo, oltre ad approvare in via definitiva la fine della politica del figlio unico, ha varato per la prima volta una legge contro “ogni forma di violenza domestica”, estesa sia al coniuge che al convivente.
Per la Cina, fondata sulla piramide del patriarcato confuciano, è una data storica. Saranno considerati reato gli abusi fisici, ma pure quelli psicologici: gli ordini di protezione personale dovranno essere eseguiti dalla polizia entro 72 ore dalla denuncia, depositabile anche da vicini e associazioni. «Ufficialmente – ha detto Han Xiaowu, membro del Comitato permanente del partito-Stato – la violenza contro le donne nel nostro Paese nemmeno esisteva. Il passo più difficile è stato ammettere il dramma sommerso della discriminazione, sofferta e taciuta dalle vittime».
Una tragedia umiliante anche all’interno dell’Asia, dove il maschilismo resta la normalità dei rapporti sociali. Una donna su quattro in Cina è vittima di abusi. Nove mogli su dieci vengono picchiate dai mariti. Su centinaia di milioni di atti di violenza domestica, non più di 40-50mila vengono denunciati ogni anno. Una ricerca dell’Accademia delle scienze, appena resa pubblica, rivela che nell’88,3% dei casi si tratta di uomini che pestano quotidianamente le compagne: il 7,5% dei ricoveri riguarda figli picchiati dai genitori, l’1,3% anziani malmenati dagli eredi. «La nuova legge – dice Guo Linmao, membro del Congresso nazionale del popolo – per ora non tutela le coppie gay, realtà ancora tabù. La strada però adesso è aperta e la società cinese, reduce dagli aborti forzati, da un quarto di donne-schiave e dal reato di omosessualità, si appresta a cambiamenti epocali». Che “l’impero del maschio cinese” vacillasse, lo si è capito cin- que anni fa. Kim Lee, moglie del magnate dei corsi d’inglese Li Yang, star della tivù di Stato, è riuscita a postare sul social Sina- Weibo le immagini del suo volto massacrato dalle percosse del marito. La censura ha tentato invano di cancellare le fotografie dal web, sopraffatta dall’indignazione femminile di massa. Li Yang all’inizio ha negato le proprie responsabilità: l’intervento del governo, senza precedenti, lo ha infine costretto a confessare e ad accettare il divorzio. La spallata definitiva, nel dicembre 2012. Xiong Jing, operaia di 24 anni dello Zhejiang, ha lanciato la prima campagna nazionale per la parità di genere inondando la Rete di immagini sconvolgenti che documentavano la violenza maschile. Sui fisici nudi delle donne, martoriati, scritte color sangue avvertivano «Il corpo è un campo di battaglia», oppure «Non farmi del male, ama il mio corpo».
Per la seconda volta la censura ha provato a “ripulire” Internet, ma il sostegno popolare è risultato tanto massiccio che la leadership rossa è stata costretta ad alzare il velo sulla realtà e a promettere di correre ai ripari per aggiornare la seconda economia del pianeta alla consolidata sensibilità del mondo globale. Risultato: 10mila firme di sostegno al movimento di Xiong Jing in poche ore e prima legge contro le violenze sulle donne presentata all’Assemblea nazionale. Il volto sfigurato di Li Yang e i corpi tumefatti delle donne cinesi, esibiti online da Xiong Jing, sono destinati a entrare nella storia nazionale come i motori popolari della prima riforma democratica accettata da Pechino, che dal primo gennaio punisce così gli abusi domestici e sostiene i partner che accettano la sfida di dare alla luce un secondo bebè.
Il presidente Xi Jinping, profeta mondiale del «web regolato dallo Stato», ha intuito che proprio la Rete, sapientemente controllata dalla propaganda di partito, può rivelarsi il formidabile vettore del nuovo “riformismo autoritario”, testato nella «guerra contro la corruzione» scatenata dall’alto per scoraggiare una rivolta dal basso. Lo spietato “potere-papà” è dunque l’artefice del premuroso “mammo” cinese e il boom dei corsi obbligatori di «morale maschile» ricalca la logica del calcio imposto nelle scuole, teso a trasformare la Cina in una super-potenza anche del business-pallone. L’aspetto sorprendente è che oggi a essere “rieducati” siano proprio i maschi, il genere unico super- selezionato dal 1979, improvvisamente denunciati come «dissidenti» dalla nomenclatura che li ha generati e che avverte ora l’esigenza di rendersi presentabile, oltre che all’estero, anche all’interno. È un passo decisivo, ma il metodo resta quello antico della condanna. Le scuole per “buoni padri e buoni mariti”, aperte fino nei villaggi rurali, non sono infatti a iscrizione libera, ma vengono imposte dalle autorità come «istituti correttivi», una sfida alla maggioritaria ostilità maschilista.
«Gli allievi – dice Feng Yuan, presidente dell’Associazione nazionale contro le violenze domestiche – sono tutti colpevoli di abusi: ma va detto che sono pure tutte vittime fin dalla nascita, o testimoni delle risse tra i genitori». Gli slogan, nella Cina confuciana orfana di Mao, fino a ieri insegnavano che «gli uomini devono conquistare il mondo, ma le donne possono conquistare un uomo », o che «il divorzio rende i vostri bambini criminali», o che «le donne devono imparare a cucinare, a cucire, a fare mazzi di fiori e a dipingere la calligrafia».
Oggi, ha annunciato al telegiornale la Cctv, «l’azzurro del sereno e la luce del sole invadono finalmente anche l’altra metà del cielo». Più che un fatto per ora è un augurio, bellissimo, che riguarda un sesto dell’umanità. Lo si vede sorgere in un’aula dell’università Tsinghua, corso di “morale maschile”, lezione numero uno: Li Dan culla la bambola di plastica appena lavata e le canta «stella stellina», a bassa voce, per non disturbare la finta moglie che gli dorme beatamente accanto.